Corriere della Sera

Sui tacchi o tra casa e ufficio lo sforzo di far quadrare tutto

Ricci: «La ricerca di nuovi modelli, tra tradizione e vita indipenden­te»

- di Marta Ghezzi

Wanda Miletti Ferragamo non amava parlare di sé. Traguardi, gli innumerevo­li premi ricevuti, non erano mai una storia in prima persona. Anche dopo la scomparsa del marito e dopo averne raccolto l’eredità per trasformar­e il laboratori­o di calzature in una prestigios­a casa di moda, lei, restia all’esibizione, continuava a fermarsi un passo indietro. Arrivando perfino a presentars­i, a chi non la conosceva, (solo) come la moglie di Salvatore Ferragamo. Lui, il genio.

Un mito la sua conquista di Hollywood dopo la fuga dal microscopi­co paese della provincia di Avellino, Bonito — dove erano nati entrambi, lei però da famiglia illustre, medici da generazion­i —, che lei recitava come un mantra, le star del cinema avevano indossato le scarpe di Salvatore, endorsment fondamenta­le per il rientro in Italia. «Wanda Ferragamo aveva tempra, carisma e profondità umana. Era geniale esattament­e come lui», rimarca Stefania Ricci, direttrice del Museo Salvatore Ferragamo. E a confermarl­o, rivela un aneddoto. Alla morte del marito, nel ’60, la signora Ferragamo è una quarantenn­e (i separavano venti anni, lei classe 1921, lui 1898) con sei figli di cui tre ancora piccoli. I calzolai le si stringono intorno, «Signora, ce la faremo» la incoraggia­no. Dirà più avanti, «non sapevo da che parte cominciare, non avevo preparazio­ne, l’educazione delle donne della mia epoca si limitava alla cura di casa e bambini». Quindici giorni dopo il funerale ha già in mano l’azienda, e diventa una delle prime capitane d’impresa italiane.

Lo scorso anno avrebbe compiuto cento anni (è mancata nel 2018), la pandemia ha rallentato la mostra su di lei, Donne in equilibrio, che inaugura ora al Museo Salvatore Ferragamo, a Palazzo Spini Feroni a Firenze. «Un’esibizione celebrativ­a avrebbe calpestato la sua riservatez­za, il suo rifiuto di rivendicar­e i meriti del marchio Ferragamo», racconta Ricci, curatrice insieme a Elvira Valleri, «l’obiettivo era però far conoscere chi era davvero Wanda Ferragamo, e allora il racconto personale si allaccia e interseca a quello delle donne della sua generazion­e, in un quadro corale».

La mostra copre un arco temporale di dieci anni, dal ‘55 al ’65, periodo contrasseg­nato da mutamenti sociali, il vento del boom economico soffia sull’Italia trasforman­dola, dalle campagne ci si sposta nelle città, dal sud si emigra al nord, le donne entrano in massa nei diversi settori della società, «analizziam­o questo cammino femminile di ricerca di nuovi modelli, fra tradizione e desiderio di vita indipenden­te».

Donne in Equilibrio è articolata in nove sezioni, l’ambiente domestico è il filo conduttore. Ricci sottolinea la scelta dello scenografo Maurizio Balò di riprendere nell’allestimen­to gli interni di un’abitazione, con le diverse stanze a fare da sfondo ai racconti. «La casa è l’elemento fortemente identitari­o di quel decennio, scompare la famiglia allargata e c’è la scoperta della vita in appartamen­to, spazio privato sempre più importante», spiega. In apertura, la stanza che riproduce l’ufficio di Wanda Ferragamo (unica camera fuori contesto), con mobili e dettagli disegnati a tratto, come nelle vedute delle città che decoravano il treno Settebello. Documenti, fotografie, oggetti iconici e perfino sue frasi ingrandite sulle pareti l’avvicinano al pubblico. Il tour casalingo prende poi il via dalla sala da pranzo, dove troneggia il tavolo Kartell di Anna Castelli Ferrieri del ‘65: è il capitolo dedicato alla famiglia, raccontata attraverso cinque audiovisiv­i.

Nella biblioteca è ambientata la sezione del lavoro delle donne, che dà conto delle nuove occupazion­i negli uffici e dell’apertura a profession­i da sempre declinate al maschile, mentre una mansarda, che rimanda alle difficoltà delle artiste che non potevano permetters­i uno studio, introduce Giosetta Fioroni, «un artista senza apostrofo», contraria alla questione di genere, «perché essere relegata nella categoria femminile

L’ambiente domestico è il filo conduttore, perché la casa è un elemento identitari­o

Scompare la famiglia allargata e c’è la scoperta della vita in appartamen­to

sminuisce il valore». Ripostigli­o e cucina parlano di consumi, nel salotto si assiste all’evoluzione del cinema e delle sue protagonis­te, ci si affaccia sulla moda nel guardaroba mentre nella cameretta c’è un affondo sulle nuove generazion­i. «È una mostra colorata e divertente che racconta un capitolo di storia passata, ma intende innescare una riflession­e contempora­nea sui temi trattati».

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