Miss Pridham la studiosa È la prima in ammiraglia «Sto vivendo il mio sogno»
L’inglese Cherie guida la Lotto: «Nel team seguo tutto»
GENOVA Miss Pridham o direttore Pridham? «Chiamami Cherie». Adesso che la pagina del romanzo di Cherie Pridham, 51 anni, è scritta, e che il primo direttore sportivo donna del ciclismo maschile professionistico ha conficcato le unghie (non smaltate) nella vittoria di una tappa di un grande giro, si può esplorare con curiosità la storia di un’ex ciclista nata in Sudafrica e cresciuta in Gran Bretagna, maschiaccio da sempre (per sua ammissione) e pioniera per vocazione, al volante dell’ammiraglia della Lotto Soudal dal km zero di questo Giro in cerca di padrone, finita ieri nel mirino dei social per il ritiro del suo capitano, il velocista australiano Caleb Ewan, ai piedi delle montagne vere (è più nobile chi resta, d’accordo, ma della partenza di Ewan, peraltro a stomaco vuoto, si sapeva dall’inizio).
In un mondo di uomini, Cherie è la conferma che il sesso non conta. «A me interessa che sia brava, non che sia donna» ha detto John Lelangue, general manager della Lotto, strappandola alla Israel — dove lei amministrava, tra le altre cose, quel che resta di un antico fenomeno dal nome Chris Froome — per spingere i confini del ciclismo un po’ più in là. «Sono d’accordo, penso di essermi guadagnata il rispetto dei ragazzi con il mio lavoro» conferma Pridham con in grembo il computer da cui non si separa mai: «Studiare è la mia ossessione, farmi trovare pronta un obbligo. Invidio il cameratismo del gruppo, ma non mi sento mai tagliata fuori. E se ogni tanto faccio una domanda stupida, okay, abbiate pazienza: sono qui per imparare e crescere».
Aver corso in bicicletta (otto Tour, due Giri) aiuta: «Non ho esperienza delle gare Monumento, ma so cosa significa passare quattro ore in bici». Aver dovuto interrompere la carriera da atleta per un grave incidente in allenamento («Avevo ancora voglia di correre ma lì ho capito che era finita») anche. L’empatia con i corridori è fatta di esperienze comuni, condivisione e avreste dovuto sentire le urla di Cherie sul lungomare di Napoli, quando Thomas De Gendt si è preso l’ottava tappa finalizzando alla perfezione una strategia studiata a tavolino: la premiata orchestra belga Lotto Soudal accordata da maestro dalla signora Pridham,
felice come non era mai stata in vita sua. «In squadra seguo tutto: allenamenti, contratti, selezione dei corridori, persino il colore dei completini degli atleti. Vederne vincere uno, ecco, è una gioia indescrivibile perché dà senso al lavoro di una collettività» racconta. L’idea della pizzata di squadra a Montesilvano, una volta scesi dai tornanti del Blockhaus, alla vigilia del giorno di riposo? Sua. «Ogni tanto bisogna gratificare anche la gola».
Unica donna nel cast del Giro (220 unità tra ciclisti e diesse): «Non ci penso troppo, sennò rischio di commettere un passo falso. Ogni giorno mi do un pizzicotto: è tutto vero, sto realizzando il mio sogno». Cherie segue la fuga; se fuga non c’è, assiste l’altro d.s.: una tappa di 200 km è un costante confronto di idee, visioni, scenari. A proposito di domande stupide, e se ti scappa la pipì? «Cerco un cespuglio, mi assicuro che l’elicottero della tv non sia nei dintorni e la faccio — ride —, ma sono sempre i meccanici a volersi fermare spesso per i bisogni. Ancora? Chiedo ogni volta...». Casa è Derby, nel Derbyshire, affacciata sui monti Pennini dove portare a correre i quattro cani. Casa itinerante è il Giro. «Questo è un lavoro che non si insegna, lo impari facendolo. Altre donne? Arriveranno...». Ma Cherie,
L’idea della pizza Studiare è un’ossessione, se ogni tanto faccio una domanda stupida, pazienza. L’idea della pizza dopo il Blockhaus? Bisogna gratificarsi