Corriere della Sera

In fila verso la morte I video dell’orrore sui crimini di Bucha

- DAL NOSTRO CORRISPOND­ENTE Giuseppe Sarcina

WASHINGTON Nove uomini in fila, curvi, che avanzano guardando l’asfalto e tenendosi per la cintura. Due soldati russi li tengono sotto tiro, li insultano, li guidano verso la morte.

Bucha, 4 marzo 2022. I carri armati e i paracaduti­sti putiniani sono tornati nel villaggio alle porte di Kiev. Gli ucraini li avevano già respinti e lo faranno anche questa volta. Di lì a pochi giorni si scoprirann­o le stragi di civili, di uomini, donne e bambini. Le fosse comuni, i cadaveri con le mani legate. L’inchiesta pubblicata ieri dal New York Times documenta uno di questi crimini: la fucilazion­e di prigionier­i disarmati e inermi. I reporter del quotidiano americano hanno trascorso diverse settimane a Bucha, hanno raccolto testimonia­nze, documenti e, soprattutt­o, tre video girati da persone che abitavano vicino all’edificio di via Yablunska 144 trasformat­o dagli invasori in una specie di «Villa triste», dove assassinar­e i nemici.

La clip principale dura meno di un minuto. Comincia con la cattura di alcuni combattent­i ucraini, identifica­ti poi dal giornale. Non sono militari profession­isti, ma semplici cittadini che hanno lasciato il lavoro in fabbrica, nei cantieri per unirsi alle milizie della resistenza.

Il 3 marzo le radio dell’esercito ucraino avvertono tutte le formazioni combattent­i: attenzione i russi stanno tornando a Bucha. Un gruppo decide di abbandonar­e gli improvvisa­ti e precari posti di blocco, protetti solo da qualche sacchetto di sabbia, e di rifugiarsi nella casa di Valera Kotenko, 53 anni. La mattina del 4 marzo scoprono di essere assediati. È solo questione di ore. Il New York Times pubblica gli ultimi messaggi inviati con i cellulari. Andriy Dvornikov, autista di una società di spedizioni, scrive alla moglie Yulia: «Non possiamo uscire. Ti chiamerò appena posso. Ti amo». Verso le 10.30 alcuni testimoni li vedono percorrere in fila indiana una delle strade principali di Bucha, scortati dai soldati russi. Tra i prigionier­i spicca la felpa azzurra di Denys Rudenko: un dettaglio da tenere a mente.

I nove uomini vengono portati nella palazzina di via Yablunska 144. Ivan Skyba, 43 anni, costruttor­e, è l’unico sopravviss­uto. Ecco il suo ricordo: «Mi trovo in una stanza con un mio compagno, Andriy Verbovyi. I russi ci picchiano, ci interrogan­o. A un certo punto sparano e uccidono Andriy. Poi veniamo a sapere che qualcuno ha confessato: “sì siamo dei combattent­i”. Il capo della pattuglia lo lascia andare. “Che ne facciamo degli altri?” chiede un soldato». La Convenzion­e di Ginevra garantisce a tutti i prigionier­i «un trattament­o umano». L’esecuzione sommaria è considerat­a un crimine di guerra. Skyba continua: «Il comandante risponde: “fateli fuori”. Ci portano sul retro della casa, ci fanno inginocchi­are e ci sparano addosso. Io vengo colpito al fianco. Cado. Non mi muovo. Non respiro. Dopo 15 minuti non sento più le voci dei militari. Mi rialzo e riesco a scappare». Il New York Times ha parlato con i medici che hanno curato Skyba. Poi ha confrontat­o le foto dei corpi abbandonat­i nel cortile di via Yablunska 144. Uno di loro indossa l’inconfondi­bile felpa azzurra di Denys.

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