«Da Putin sempre un muro quando gli ho parlato di pace»
Il premier agli studenti di una scuola media: mi è andata meglio con il presidente americano Biden, che ha accolto i miei suggerimenti di parlare con Mosca
ROMA Quello che sulle prime appare come un concetto quasi didattico, pronunciato agli studenti di una scuola media di Sommacampagna, in provincia di Verona, alla fine è un messaggio politico, inedito per Mario Draghi e in parte anche per il dibattito pubblico internazionale. La distinzione fra russi e Cremlino, fra un popolo e il suo governo, un principio in teoria semplice, ma non sempre trattato in questo modo: «In una delle lettere che ho ricevuto, c’è una frase molto giusta che dice: “Non dobbiamo vederli, i russi, solo come cittadini russi, ma anche come cittadini del mondo”. La leggo in questo modo: i cittadini russi non sono colpevoli per quel che fa il loro governo. I cittadini russi quindi dobbiamo e dovremo — quando la guerra sarà finita e le condizioni, le circostanze ce lo permettano — considerarli non come nemici. Perché non sono loro i nemici: questo è importante ricordarselo. E questo significa cercare la pace».
Nella conversazione con gli studenti, che gli leggono due poesie sulla pace, Draghi usa un linguaggio semplice, a tratti didascalico, ma con contenuti politici molto chiari. Aiutare gli ucraini, anche con l’invio di armi, è stato giusto, necessario. È fuori strada chi distingue sulle ragioni e sui torti della guerra, perché «chi attacca usando la violenza ha sempre torto. Quindi c’è una differenza tra chi è attaccato e chi attacca: questo bisogna tenerlo in mente. È come se vedessimo uno grosso grosso dare schiaffi a uno piccolo piccolo. E noi che facciamo, l’istinto qual è? È quello di andare lì, dire di smetterla, aiutarlo, aiutare il piccolino. Quello che è successo in Ucraina è che il piccolino è diventato sempre più grande e ora si ripara bene dagli schiaffi. È diventato sempre più grande per due motivi: prima di tutto perché è stato aiutato da tutti gli amici, in tantissimi modi. E poi perché combatte, si difende per un motivo, la libertà».
Quindi, sempre rivolto ai ragazzi della scuola Dante Alighieri, il premier rimarca l’impegno, anche italiano, che la comunità diplomatica sta riponendo su possibili negoziati di pace: «Ci chiediamo e mi chiedo cos’è che si può fare oltre ad aiutare quello che era un piccolino e ora è grosso. Quello che si può e si deve fare è cercare la pace, cercare di fare in modo che i due smettano di sparare e comincino a parlare. Questo è quello che noi, italiani, io, dobbiamo cercare di fare. L’ultima volta che ho parlato con il presidente Putin ho cominciato la telefonata dicendo: “La chiamo perché voglio parlare di pace”. E mi ha detto: “Non è il momento”. “La chiamo perché vorrei che ci fosse un cessate il fuoco”. E lui: “Non è il momento”. ”La chiamo perché forse molti di questi problemi li potete risolvere solo voi due: lei, presidente Putin, e il presidente Zelensky. Perché non vi parlate?”. “Non è il momento”. Ho trovato un muro».
«Invece — in qualche modo rivendica — ho avuto più fortuna l’altra settimana quando sono andato a Washington. Parlando con il presidente Biden, gli ho detto che forse è solo da lui che Putin vuole sentire una parola. E quindi gli ho detto di telefonare a Putin. Devo dire che il suggerimento ha avuto più fortuna, perché il giorno dopo non lui e Putin, ma i ministri della Difesa russo e americano si sono sentiti».