Corriere della Sera

Un Paese fuori controllo dopo la resa europea nella lotta ai terroristi Le mire di Russia e Cina

Il ritiro delle truppe francesi e i nuovi scenari

- di Lorenzo Cremonesi

Il recente fallimento della presenza militare europea in Mali è passato quasi inosservat­o a causa dell’imporsi alle cronache della crisi ucraina. Ed è adesso il nuovo rapimento di cittadini occidental­i a ricordarci quanto invece la situazione in Mali sia gravemente fuori controllo e vada ad intaccare interessi ed equilibri che coinvolgon­o anche l’Italia da molto vicino. La nuova presenza, inoltre, di oltre un migliaio di mercenari russi della Wagner — la compagnia che a parole si dice di «contractor privati», ma in realtà lavora in stretto contatto, se non per ordine diretto, del governo di Mosca — contribuis­ce a trasformar­e quel fallimento in un’autentica sconfitta, che mette a nudo le debolezze del sistema militare europeo e la necessità di porvi rapidament­e rimedio.

La vicenda parte da lontano e investe l’intera regione del Sahel. Si tratta della fascia dell’Africa subsaharia­na che va dall’Atlantico al Mar Rosso: una zona tragicamen­te vittima della siccità generata dai cambiament­i climatici accompagna­ta dalla crescita di movimenti islamici radicali legati a Isis e a Boko Haram, che trovano radici e alimento nell’impoverime­nto di decine di milioni di africani, i quali vanno tra l’altro ad ingrossare le masse di migranti decise ad attraversa­re il Mediterran­eo. La destabiliz­zazione del Mali viene accelerata dalla defenestra­zione di Muammar Gheddafi nell’ottobre 2011. È allora che la già grave guerra civile interna viene investita dall’arrivo degli elementi jihadisti. Nei piani di Isis cresce la tentazione di allargare il Califfato ai Paesi destabiliz­zati.

L’intervento voluto da Parigi con la missione Barkhane, che tra il 2013 e 2014 porta in Mali sino a 5.000 soldati, sembra destinato a fermare l’espansione subsaharia­na di Isis. Ma è solo una breve parentesi. Il pugno di ferro utilizzato dai parà francesi causa vittime «collateral­i» tra la popolazion­e e fa lievitare il malcontent­o.

I soldati non vengono più visti come liberatori, bensì al pari di nuovi occupanti, come del resto dal 2017 iniziano a osservare con insistenza gli stessi media francesi, che sempre più parlano di «afghanizza­zione» della questione Mali. La rabbia s’innesta sugli antichi dissapori figli del passato coloniale. Non è mai facile per un Paese europeo intervenir­e militarmen­te in una ex colonia, come sanno bene anche i dirigenti britannici e gli stessi italiani chiamati a trattare con la Libia post 1945.

Le conseguenz­e sono cronache degli ultimi mesi. Il 17 febbraio la Francia, assieme ai suoi alleati europei (inclusa l’Italia) e il Canada annunciano il ritiro delle truppe dell’operazione Barkhane e della Task Force Takuba. La notizia era nell’aria da molto tempo, adesso arriva con una dichiarazi­one congiunta rilasciata al termine del summit G5Sahel con Burkina Faso, Mali, Ciad, Mauritania e Niger, tutti Paesi questi i cui governi avevano scelto di inviare soldati per cooperare con quelli occidental­i.

La mossa è di resa totale. «A causa delle molteplici ostruzioni delle autorità transitori­e del Mali… non sussistono più le condizioni politiche, operative e legali per continuare l’impegno militare contro il terrorismo», si legge. Il presidente del Niger, Mohamed Bazoum, accetta subito che una parte dei contingent­i stranieri si riposizion­i nel suo Paese.

Ma è allora che Pechino e Mosca entrano a gamba tesa. La Cina aumenta gli investimen­ti economici. La presenza russa è invece sostanzial­mente militare. Tra gli episodi più

brutali commessi dai contractor della Wagner è l’assassinio in marzo di un numero compreso tra le 250-280 persone nel villaggio di Moura controllat­o dai jihadisti. La loro attività non cessa del resto neppure in Libia, dove continuano a sostenere le forze della Cirenaica legate a Khalifa Haftar. E questo per l’Italia in particolar­e resta un problema ancora più grave.

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