«Noi eravamo pronti Ai pazienti applicati i protocolli del Covid»
Nicastri (Spallanzani): stanno bene, sono sereni
ROMA «Eravamo pronti. Ce lo aspettavamo che il vaiolo delle scimmie prima o poi sarebbe arrivato anche qui. Non lo avevamo mai né visto né affrontato prima, che si trattasse di pazienti autoctoni o di importazione». Emanuele Nicastri, direttore della divisione Malattie infettive dell’Istituto Lazzaro Spallanzani di Roma, passa da un’emergenza sanitaria all’altra: ancora non ha accantonato il capitolo Covid-19 che già apre quello del Monkeypox, facendosi carico dei pazienti ricoverati all’Inmi. «Eravamo stati messi in allerta dai primi sette casi emersi in Inghilterra e dalla conseguente immissione nel sistema regionale delle malattie infettive».
Può ripercorrere i primi momenti in cui si è trovato di fronte al paziente zero?
«Prima di tutto devo dedicare una parola per la prontezza del collega del pronto soccorso del Policlinico Umberto I che, anche basandosi sui referti fotografici che ci erano stati inviati, ha riconosciuto e segnalato la possibilità che si trattasse del vaiolo delle scimmie. Dopo l’arrivo del paziente allo Spallanzani, il sospetto è subito stato confermato dalle evidenze delle manifestazioni cliniche. E in un secondo momento dagli esami».
Che tipo di esami sono stati fatti per avere la conferma?
«Analisi del sangue e poi i tamponi, sia cutanei sulle lesioni sia nasofaringei».
Ovvero gli stessi che rilevano il Covid?
«Già, perché anche questo virus si trasmette attraverso liquidi biologici».
I pazienti, quando sono arrivati allo Spallanzani, erano consapevoli o spaventati all’idea di aver contratto questo virus?
«Consapevoli sì: avevano letto le notizie che nei giorni scorsi erano circolate riguardo i contagi e i sintomi e ci hanno pensato da soli che potessero aver preso il monkeypox. Spaventati no: ma avevano contezza di aver contratto qualcosa di diverso e di poco conosciuto».
Come stanno ora?
«Fortunatamente bene. Sono tutti paucisintomatici».
Nessuno presenta quindi sintomatologie preoccupanti?
«No, le manifestazioni cliniche vanno ricondotte alla normalità di una malattia infettiva che stiamo iniziando a studiare ora».
I pazienti ricoverati sono in isolamento?
«Per loro vengono applicati gli stessi protocolli del Covid: possono ricevere visite ma da dietro un vetro che li scherma».
Come per il Covid si può anche rimanere a casa con una sintomatologia blanda?
«Certamente. Ma attuando alcune accortezze, le stesse che conosciamo da due anni.
Quindi stanza singola e ben areata, mascherine se si entra in contatto con un convivente, bagno separato».
Avete idea di quanto potrà durare il decorso della malattia nei tre pazienti ricoverati?
«Molto dipenderà dalla risposta individuale, ma l’isolamento previsto è di 21 giorni».
Quando potrete dichiararli ufficialmente guariti?
«Quando le analisi e i tamponi saranno negativi. E, un po’ come accade per la varicella, quando le pustole dei malati avranno fatto la crosta».