La mia architettura? Suggerita dallo chef
Flaviano Capriotti e il connubio con Guido Paternollo: a Milano il Park Hyatt Hotel diventa «vegetale»
Una lounge circolare sovrastata da una cupola di cristallo crea un effetto veranda: seduti sui divanetti curvi color ottanio che profilano lo spazio ci si sente avvolti dalla luce, amplificata dai paraventi specchiati. Siamo nell’hotel Park Hyatt Milano, appena restituito al pubblico (giovedì prossimo l’inaugurazione ufficiale) dopo due anni di lavori. Ma la lounge è rimasta intatta, solo qualche intervento sui rivestimenti tessili: il rischio sarebbe stato snaturare lo spazio che nei quasi vent’anni dalla sua apertura è diventato l’emblema del luogo. Qui si viene a prendere un aperitivo, a fare un pranzo in stile bistrot o una prima colazione, se si soggiorna qui. Insomma una lounge viva all’insegna del ritrovarsi conviviale. Che la relazione tra cibo e il suo contesto sia un tema forte lo testimonia l’intervento più deciso di tutta l’opera di rinnovo del Park Hyatt: il ristorante Pellico 3.
«Non mi era mai successo di essere chiamato dopo pochi anni per un rifacimento completo di un mio progetto. Fatto ancora più insolito, perché chi ha voluto incontrarmi per discuterne è stato il nuovo chef», racconta l’architetto Flaviano Capriotti, già autore dell’interior del ristorante originario, di questo insolito connubio creativo tra lui e lo chef Guido Paternollo. «In realtà già nel 2015 avevo rivisto l’architettura del ristorante a favore di un ampliamento del bar, affinché diventasse una “destinazione” cittadina».
Dal concept di allora, fatto da arredi e materiali molto neutri ma anche drammatici («Tutto beige con una moquette nera, pensata per far spiccare la cucina dal tono deciso dello chef di allora, Andrea Aprea»), la richiesta di Paternollo è stata di un effetto più luminoso, colorato nei toni pastello. «Guido è giovane, con un’esperienza internazionale che l’ha portato ad avere un concetto di cucina mediterranea leggera, molto incentrata sul mondo vegetale: per lui il Mediterraneo non è solo quello delle coste italiane, ma spazia dal sud della Francia alla Grecia, al medio Oriente. Con tutto il loro mondo di colori: il verde, in ogni sua accezione, ma anche i toni speziati e quelli più caldi e autunnali».
Ecco allora già prendere forma quella che oggi è l’estetica del ristorante: «Ho iniziato a ragionare sul verde, pensando al mondo dei vegetali su cui Guido punta molto nella sua ricerca: verde chiaro e scuro, ma anche tendente al marrone. E, se si pensa per esempio al carciofo, con declinazioni che sfumano al rosso rosato fino al bianco». Interprete di questo «orto immaginario», avvolto da pareti verde salvia, il pavimento in materiali volutamente non artefatti: «II cocciopesto verde e sabbia rosato, ricavato con l’antica tecnica dei mattoni sbriciolati
Tecniche naturali Al ristorante Pellico 3 il pavimento in cocciopesto è come un orto immaginario
e impastati con il cemento che non richiedono cottura e si asciugano all’aria. E la pietra serpentina, una materia povera della Valtellina, spazzolata. Il risultato è un’estetica naturale, in linea con i piatti della sua cucina». Con il gioco finale della disposizione delle piastrelle trapezoidali in modo quasi casuale: «Come fossero i campi delle nostre pianure coltivate, viste dall’alto».
Semplicità spontanea che ritorna anche nella colonna e in altri dettagli di architettura rivestiti in paglia: «A suggerire cesti e canestri della tradizione contadina». Per le tavole, sottopiatti color mattone e semplici tovaglie di lino bianco: «Evocano l’apparecchiatura della domenica di famiglia, con le tovaglie uscite dai bauli della nonna». A unire il tutto, il filo conduttore della materia ruvida, e il piacere nel toccarla: «La stessa sensazione di croccantezza che ho provato gustando la combinazione di verdure cotte e crude che Guido offre come assaggio a inizio cena».
Questo il lato pubblico dell’hotel. Mentre nelle zone più private – le 106 tra camere e suite – lo stile, anch’esso tutto nuovo, interpreta con slancio contemporaneo atmosfere tutte meneghine. Tra toni candidi, sofisticati marmi venati, specchi anticati, foto di architetture milanesi e audaci tocchi (gialli) di colore. Che raccontano una Milano elegante, raffinata ma indiscutibilmente sprint.