«Noi, sanitari delusi: che cosa ha insegnato la pandemia?»
Non avrei mai immaginato di sentirmi costretta a divulgare l’amarezza che provo. Durante la pandemia (da cui non siamo ancora fuori), noi sanitari, infermieri e medici, dopo un breve incensamento, siamo tornati ad essere considerati né più né meno di prima. Nel bene e nel male. E ci sta. Del resto solo i più autoreferenziali hanno potuto pensare di essere eroi. La maggior parte di noi, nel pieno del caos 2020, pensava di fare solo il proprio lavoro. Ma si sperava che la pandemia avesse insegnato ai nostri amministratori, direttori generali e politici regionali che li nominano che le politiche di taglio a tutti i costi su personale e materiali prima o poi presentano il conto; un conto che pagano i più deboli, come sempre accade. Invece, le cose non sono andate così. Anzi. Con più accanimento di prima dello scoppio del Covid, negli ospedali si applica la logica del profitto, perseguita quasi esclusivamente col taglio delle spese del personale. Si gratta oltre il fondo del barile, disposti anche a procurarvi una falla, cioè a correre rischi sulla sicurezza del lavoro e a diminuire l’assistenza ai malati. Meno unità mediche di guardia, meno personale ausiliario, materiali con il contagocce, smembramento di reparti specialistici e allestimento di accampamenti policompetenti (?) nei quali i malati vengono divisi e ricoverati per durata di degenza e non per patologia. Chi risponderà di tali decisioni? Non certo chi le ha perpetrate, visto che sosterà poco tempo nel posto assegnato: più si è miopi nella logica del risparmio più si ricevono premi e avanzamenti di carriera.
Annunziata Torella, medico anestesista