Corriere della Sera

Vanessa e noi «Salviamoci (ma insieme)»

- dal nostro inviato Carlo Baroni

TORINO Lei è un uragano quieto. Un vento che scuote senza devastare. Come il sussurro di una foresta che dopo niente sarà più come prima. Vanessa Nakate assomiglia alla sua Africa. Gli stessi tempi che non conoscono tempo. Gli spazi che sono orizzonti da non depredare. Con lei si sbagliano sempre verbi e aggettivi. Chi difende l’ambiente non è «un’attivista» che «lotta». Chiunque proteggere­bbe la propria casa se sapesse che è in pericolo.

E Vanessa non è un’altra Greta Thunberg. Un clone venuto dalla parte più disagiata del mondo e magari proprio per questo anche la più ricca.

Ieri era al Salone del Libro di Torino. Protagonis­ta in punta di piedi. Una quasi timidezza che è rispetto per gli altri. Una determinaz­ione che ha il volto della fierezza. Lei che, tagliata fuori dalle foto ufficiali del Forum economico di Davos, passa oltre. La sua voce è prestata a tutti quelli non riescono a farsi sentire. Di chi il cambio climatico è già crisi ambientale. «Due gradi in più in Africa non sono un balzo della temperatur­a, una statistica per i meteorolog­i: sono donne, sì in Africa è così, costrette a camminare chilometri per trovare cibo ed acqua. Sono ventisei milioni di esseri umani fiaccati, adesso!, dalla siccità. Il Nord del mondo non può capire. Ci bagna lo stesso temporale, ma abbiamo barche diverse. Le vostre sono meglio equipaggia­te. Avvertite il pericolo come noi. Ma pensate di avere tempo per correre ai ripari. Noi siamo già sballottat­i dalla tempesta e dalle onde».

Insieme alle disuguagli­anze sociali c’è un’ingiustizi­a climatica. Più subdola e bastarda. «Nella mia Uganda — continua — le famiglie sono costrette a vendere le figlie. La crisi ambientale ha esacerbato il fenomeno delle spose bambine».

Aprite gli occhi non è solo il titolo del suo libro (edito da Feltrinell­i), è un appello a fare di più. «Le soluzioni ci sono già, non c’è bisogno di escogitare chissà che. Le comunità umane sanno di cosa hanno bisogno. Ma la loro voce va amplificat­a».

Vanessa Nakate parla davanti a una platea di ragazzi. Pare li guardi uno a uno. Quasi a implorarli. «Studiate. L’istruzione mi ha fatto quella che sono. Consapevol­e del mondo che mi circonda. Sicura di poterlo cambiare. Il successo non conta. Conta essere partecipi».

La sua è una forza che non sa di provocazio­ne. E neanche il lamento di chi è stato oppresso. È il cuore di chi non prova risentimen­to, chiede solo dignità.

Un’ambientali­sta africana e un giallista americano. Niente di più diverso. Poi li senti parlare e ti accorgi che le loro sensibilit­à non sono così distanti. Basta sentire solo questa frase di Don Winslow per capirlo: «Cerco di vivere in modo decente in un mondo indecente». Lui al Salone di Torino ci arriva da lontano. Collegato da Los Angeles. Ma trasmette ugualmente calore. Ha la consapevol­ezza di essere un grande scrittore, dentro un ego che conosce la giusta misura. «Sapevo da sempre che avrei fatto questo lavoro. Nessun fato avverso me l’avrebbe impedito». E non è boria, solo raccontare una vicenda umana. La sua. Un uomo che si è sposato, che quando è nato un figlio «mi sono detto che per almeno diciotto anni avrei pensato prima a lui e a sua madre. E sono stati diciotto anni meraviglio­si. Il mondo avrebbe aspettato di leggere un mio libro, un figlio l’avrei perso per sempre. Non è giusto che gli altri paghino per i tuoi sogni».

Don Winslow scrive di gang criminali, di faide infinite. «Quando vivevo nel Rhode Island ero circondato da bande sanguinari­e. Non ne ho mai fatto parte, ma è gente che conoscevo bene. Per questo li so raccontare. Sono uno scrittore soggettivo, guardo la vita con gli occhi dei miei personaggi. Non esprimo giudizi morali. Non mi compete. Qualche volta mi ci affeziono.

Come con il protagonis­ta del mio nuovo romanzo, il primo di una trilogia, Città in fiamme (edito da HarperColl­ins Italia, ndr). Si chiama Danny, è cresciuto cattolico come me in una città di pescatori. Ho cambiato i luoghi dei miei romanzi. Dai narcos messicani della Baja California alla costa atlantica, la mala italiana e irlandese. La differenza? Italiani e irlandesi non toccherebb­e mai la famiglia. È un tabù».

Scrivere, per Don Winslow, non è difficile. «È il mio lavoro. I personaggi dei libri prima devono parlare con me. Devo sentire i loro accenti, vederli muovere. Poi li porto nei luoghi che conosco. Tutto qui».

La trilogia si rifà ai classici, l’Eneide e l’Iliade: ««Sono storie eterne, se hanno attraversa­to i secoli vuole dire che funzionano». Don Winslow come Vanessa Nakate è una persona risolta. Anche quando ricorda che ci sono voluti cinquant’anni per capire il suo talento: «Forse non mi vedevano nella maniera corretta». Lo sguardo giusto sul mondo e sugli esseri umani. Sono le diottrie dell’anima.

Don Winslow

Partecipa collegato da Los Angeles: cerco di vivere in modo decente in un mondo indecente

 ?? ?? Vanessa Nakate (Kampala, Uganda, 15 novembre 1996; foto Mip per il Salone del Libro) ieri durante l’incontro a Torino: è la più nota attivista africana contro il cambiament­o climatico, la prima a mobilitars­i nel suo Paese per Fridays for Future
Vanessa Nakate (Kampala, Uganda, 15 novembre 1996; foto Mip per il Salone del Libro) ieri durante l’incontro a Torino: è la più nota attivista africana contro il cambiament­o climatico, la prima a mobilitars­i nel suo Paese per Fridays for Future
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