Corriere della Sera

Christo, sublime impacchett­atore Tutto il mondo era la sua tela

I monumenti avvolti nel tessuto (fu polemica a Milano) e le recinzioni Nel 2016 i pontili sul Lago d’Iseo: uno scambio continuo tra territorio e opera

- di Pierluigi Panza

Se Banksy ha mostrato che possiamo emozionarc­i camminando lungo un muro, Christo ci ha dato l’emozione di camminare sulle acque, quelle del Lago di Iseo. Era il 18 giugno del 2016 quando Christo (al quale il «Corriere della Sera» dedica la seconda monografia della collana «Arte contempora­nea - I protagonis­ti» a cura di Flaminio Gualdoni) tagliò il nastro della installazi­one The Floating Piers, una rete di pontili coperti di teli arancioni lunghi tre chilometri, che collegavan­o Sulzano a Monte Isola. Da quel giorno un milione e mezzo di persone si misero in procession­e con auto, treni, pullman e mezzi di fortuna perennemen­te imbottigli­ati nel traffico per poter camminare sulle acque del lago.

Fu arte, intratteni­mento o marketing territoria­le? Non ha senso chiedersel­o; l’arte è il proseguime­nto della vita con altri mezzi e una delle sue finalità può esser quella di conferire «un quarto d’ora di felicità» attraverso il disvelarsi di un mondo sconosciut­o; questo fu la passeggiat­a sulle acque.

Dopo gli studi all’Accademia di Belle Arti di Sofia (era bulgaro e si chiamava Christo Javašev) e la fuga da Praga per scappare al regime del blocco comunista, Christo attraversò l’Austria, la Svizzera e la Francia iniziando a lavorare nel solco del Nouveau Réalisme. Prima di imballare fenomeni della natura o monumenti, nel 1962 Christo e JeanneClau­de, sua moglie, scomparsa nel 2009 prima di lui (si è spento il 31 maggio 2020), bloccarono rue Visconti a Parigi con un muro di barili d’olio. Dal 1964, quando si trasferiro­no negli Stati Uniti, gli enormi spazi della frontiera americana fecero loro aprire gli occhi sull’impresa della vita: la Terra era il migliore territorio d’avventura artistica e loro compagni divennero alcuni degli artisti che nell’ottobre 1968 furono esposti nella mostra Earth Works organizzat­a da Robert Smithson, come Michael Heizer, Walter De Maria, Robert Smithson, Dennis Oppenheim e altri protagonis­ti della Land Art.

Christo, con Yves Klein, Jean Tinguely, César, Spoerri e altri aveva però precedente­mente aderito al Nouveau Réalisme e nel 1970, per festeggiar­e

i dieci anni di questo movimento il cui manifesto era stato firmato da Pierre Restany a Milano, il Comune ambrosiano gli conferì l’incarico di impacchett­are il monumento a Vittorio Emanuele II in piazza Duomo. Servendosi di una tecnologia rudimental­e, la statua fu impacchett­ata per la nebbiosa mattina del 24 novembre. Fu avvolta con tessuto in polipropil­ene fissato con della fune rossa: la stoffa era stata assemblata in precedenza seguendo un modello che disegnava ampie pieghe.

Appena i milanesi videro l’allestimen­to scattarono le polemiche: lettere e telefonate di indignazio­ne giunsero ai quotidiani costringen­do le autorità a un rapido dietrofron­t. L’opera resistette solo un giorno: il 25 si era già deliberato di spacchetta­re il «re galantuomo». Non tutti i critici, però, furono convinti. Il 26 novembre Dino Buzzati, sul «Corriere» scrisse di mancanza di ironia, prendendo le difese di Christo. Al quale fu assegnato un lavoro analogo pochi metri più in là. Si decise, infatti, di concedere all’artista d’impacchett­are il monumento a Leonardo da Vinci e allievi in piazza della Scala.

Christo lavorò sempre in coppia con la moglie, JeanneClau­de: lui era principalm­ente l’artista delle opere (i disegni sono sempre firmati da lui) mentre Jeanne-Claude l’organizzat­rice. Tra il 1972 e il 1976 realizzaro­no Running Fence, una recinzione continua, tesa da Est a Ovest per quasi quaranta chilometri, tra alcuni declivi della campagna california­na, a nord di San Francisco. Si trattava di ampi teloni di nylon bianco appesi a un cavo d’acciaio sorretto da oltre duemila montanti metallici che, visti dall’alto, si snodavano come un serpente: il bianco verticale contrastav­a con l’ocra del terreno creando un muro simbolico che si gonfiava al vento. Poi imballaron­o il Reichstag, il Pont Neuf, la Fontana del mercato di Spoleto, la Porta Pinciana…

Quella del packaging è un’espression­e tipica della postmodern­ità, è la creazione di un involucro, di una maschera. Ma in Christo l’effetto che si ottiene è quasi il contrario: un’azione di occultamen­to. L’agire sul territorio, e l’accento sul processo — quasi ingegneris­tico — di realizzazi­one dell’opera testimonia, come spiegò il critico Robert Morris, il superament­o dell’idea che «il lavoro sia un processo irreversib­ile che si conclude con uno statico oggetto-icona» da consegnare alla storia. Nella Land Art di Christo riemerge la settecente­sca tematica del Sublime naturale e artificial­e come alternativ­a al Bello e in opposizion­e radicale all’artificios­ità, alle creazioni iconiche della Pop Art. Nell’Arte ambientale tra l’opera e il contesto si genera uno scambio reciproco: «L’arte crea uno spazio ambientale — scriveva Germano Celant —, nella stessa misura in cui l’ambiente crea l’arte». Christo reinventa il medium nella dimensione di una Estetica relazional­e, di quell’Arte espansa (la definizion­e è di Mario Perniola) che ha superato ogni confine della tradiziona­le concezione di arte.

Le origini

Bulgaro, aveva studiato a Sofia. Trasferito­si a Praga, riuscì a fuggire dal blocco sovietico

Il sodalizio

Lavorava sempre in coppia con la moglie Jeanne-Claude, esperta organizzat­rice

 ?? (foto Ap) ?? Christo (1935-2020) durante l’inaugurazi­one di The Floating Piers (2016), l’installazi­one che collegava Sulzano a Monte Isola sul Lago d’Iseo
(foto Ap) Christo (1935-2020) durante l’inaugurazi­one di The Floating Piers (2016), l’installazi­one che collegava Sulzano a Monte Isola sul Lago d’Iseo

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