Marion, la veterana di Cannes «Dentro di me tanti lati oscuri»
Cotillard protagonista in «Frère et soeur»: solo gli incontri ti cambiano la vita
CANNES Lunga vita alla regina Marion, e ai suoi assoli di donne inquiete, abitate da timidezza e passione.
Nella sfida tra stelle francesi, accontentandosi di fare da «spalla» all’asino che domina il film di Skolimowski, la bestialità umana negli occhi dell’animale (ma è proprio una spallina, un cameo più breve di un raglio), Isabelle Huppert cede la corona del Regno del cinema a Marion Cotillard.
Ma è una veterana anche lei a Cannes, con Frère et soeur (Fratello e sorella) alla sua undicesima presenza in undici anni. E per la terza volta si mette al servizio del regista Arnaud Desplechin. «Ha uno stile immediatamente riconoscibile —ha detto a Le Figaro — , amo la sua lingua il côté teatrale dei suoi film». E non si tratta di un bla bla bla sciovinista: «Mi interessano i cineasti che hanno un bisogno vitale di raccontare le loro storie attraverso il cinema». Le interessano gli incontri prima che gli applausi, perché «solo quelli riescono davvero a cambiarti la vita».
Sulle nevrosi familiari Desplechin con i suoi viaggi nella memoria potrebbe parlare alla Sorbona. Questo è un dramma sensuale e attorcigliato, un abito su misura per Marion. Quale famiglia? C’è quella polverizzata che Desplechin racconta, dove fratello e sorella, evocando con sessi diversi l’archetipo di Caino e Abele, si reincontrano dopo vent’anni sul letto di morte dei genitori; e c’è quella di Cannes, che riaccoglie Marion, nei panni di un’attrice avvolta in un magma di risentimento. «Io ti odio», dice in faccia, con un sorriso affilato, al fratello poeta. Lei era stata la sua musa, non le perdona il successo. Si rivedono e faticano a riconoscersi, si scontrano accidentalmente in un supermercato, sbattono l’uno contro l’altro come due sassi, «e questo li riporta in vita».
Marion e gli occhi blu imprigionati nella rabbia, onde increspate che faticano a raggiungere la riva; Marion e la malinconia seduttiva, e alla fine cede al rimpianto; Marion e i lati oscuri che sono «una parte preponderante della mia personalità», ma nessuno sa dove nascano le radici dei disagi. Ha sempre detto che «nella complessità puoi meglio esplorare l’animo umano, se vai in profondità trovi ciò che non ti aspetti».
Così parla Marion l’antistar, «non rifiuto di esserlo, fa parte del gioco dell’identificazione, ma non è la mia aspirazione». Il 7 giugno al Real di Madrid torna voce recitante in Giovanna d’arco al rogo di Honegger, una donna (disse a Spoleto dove si presentò in sella a un cavallo bianco), che conosce «la rabbia per l’ingiustizia subìta, la paura, il coraggio. E tutto ciò rivestito dalla fede, che è ciò che le dà la libertà delle sue azioni».
Proprio a Cannes, nel mondo di prima, quando non esisteva la parola Covid, portò sullo schermo una madre che abbandona la figlia per le sue avventure della notte, in una illusoria Vie en rose. Il titolo è Faccia d’angelo, una storia a due voci, accanto a Ayline, una bambina di otto anni che Marion, non accorgendosi del cronista in attesa, strinse a sé, la abbracciò, piansero tutt’e due. Confidò che finite le riprese Ayline espresse il desiderio di rivederla, Marion mancò la promessa.
In quel momento di abbandono, togliendosi di dosso le lacrime come per giustificarsi disse, «quando un set si chiude, dopo aver convissuto per un mese, ci diciamo di risentirci, ma non succede mai».
Aspirazione
L’attrice: «Non rifiuto di essere considerata una star ma non è la mia aspirazione»