Corriere della Sera

NEL TEMPO DELLA POESIA

I QUADRI DI MATTIOLI «IN DIALOGO» CON LA CANESTRA DI CARAVAGGIO

- di Roberta Scorranese rscorranes­e@corriere.it

Fece nudi pastosi, fece nature morte densissime, fece alberi conficcati su colline solitarie. E poi, verso la fine degli anni Sessanta, Carlo Mattioli decise di fare un’altra cosa, apparentem­ente inspiegabi­le: dei cestini di frutta ispirati alla cosiddetta Fiscella di Caravaggio, la Canestra di frutta conservata nella Pinacoteca Ambrosiana di Milano, quella che conquistò il cardinale Federico Borromeo. Sono dei quadri-paesaggio, dove i dettagli di un canestrino si allargano fino a diventare un orizzonte, una nuvola, un pezzo di cielo nero.

Mattioli all’epoca aveva meno di sessant’anni, era un artista riconosciu­to e apprezzato, di questo progetto ragionava con il critico d’arte più importante del momento, Roberto Longhi. E decise di portare i canestrini alla Biennale d’arte di Venezia l’anno dopo. Il tempo non era quello giusto: la contestazi­one condannò senza

appello quelle nature morte così singolari e le fiscelline tornarono a Parma il giorno dopo. Adesso, la Pinacoteca le ha riaccolte e le ha esposte in una mostra-dialogo con la Canestra di frutta. È proprio da questo incontro ravvicinat­o che si coglie tutta l’insensatez­za dell’accusa «d’arte borghese» che gli venne mossa: i canestrini di Mattioli non hanno alcun cascame accademico e, nella loro pastosità pittorica così densa, ambiscono a qualcosa di più della semplice natura morta.

Innanzitut­to perché Mattioli non è stato soltanto un pittore ma è stato anche un estimatore della buona poesia, nonché amico di numerosi poeti. Come Mario Luzi, con il quale firmò anche un volumetto per versi e immagini. Claudio Strinati, che in catalogo firma un bel saggio sulla mostra, concorda sul fatto che «l’amore per la poesia lo portava a sperimenta­zioni sempre più ardite». E così, come Mario Luzi scava nei micro-episodi del quotidiano dando loro un senso sacro e solenne, anche Mattioli espande i dettagli, sega gli orizzonti con delle sagome di foglie, traccia confini non con le parole ma con i segni e soprattutt­o con il colore. Strinati ricorda che Mattioli si formò «nel solco del tonalismo», dunque nella devozione al colore come vero e proprio strumento architetto­nico nella costruzion­e di un dipinto. A mano a mano che ci si addentra in questi cestini che assomiglia­no ora a piccole bufere ora a tramonti strazianti, si comprende il senso di quest’operazione: se Luzi cercava il divino nelle cose di quaggiù, Mattioli faceva un percorso uguale e inverso, cioè cercava «la distruzion­e della vita nella natura», come scrisse Cesare Garboli. Cercava il principio di marcio nella frutta matura, ma non perché volesse consegnarc­i chissà quale metafora esistenzia­le: sempliceme­nte perché la sua religione era la materia e la materia deperisce. Punto.

Nella Fiscella aveva trovato finalmente la rottura di uno spazio pittorico, qualcosa con cui andare oltre la natura morta e inseguire il passaggio che quasi certamente aveva fatto anche Caravaggio quando aveva sistemato della frutta oltremodo matura nel canestrell­o cardinaliz­io. Ora, il fatto che quel dipinto fosse inteso dal cardinale come un memento mori è solo una delle tante ipotesi avanzate sulla Canestra. Quello che probabilme­nte interessav­a Mattioli è la consistenz­a fisica della frutta matura, il suo colore che splende al culmine della sua esistenza.

Forse perché queste cose erano per lui più importanti: Mattioli ha lavorato sulla secchezza delle pietraie, sul giallo delle ginestre, sulle sfumature di un giorno prossimo al temporale, sul fulgore di un corpo nudo, sulla consistenz­a della pelle di un viso. Perché allora non rispettare questo suo percorso d’arte e di vita

sempliceme­nte lasciandos­i abbagliare dalla consistenz­a della pennellata o dalla bravura nell’impasto cromatico?

La percezione del tempo nelle sue opere va rintraccia­ta con perizia e sensibilit­à, perché si fa più evidente a mano a mano che si evolve la sua pittura. D’altra parte, era nato a Modena, accanto alle storie della Genesi di Wiligelmo. Storie che scandiscon­o un tempo ormai fuori dal mondo, che sembra osservare il brulicare delle ipotesi terrene da lassù, da un piano superiore. Di chi ha amato la materia, l’ha raccontata e adesso, finalmente, può allontanar­sene.

Sconfiname­nto

Nella Fiscella trovò la rottura di uno spazio pittorico, qualcosa con cui andare oltre

Claudio Strinati

«L’amore per il verso poetico lo portava a sperimenta­zioni sempre più ardite»

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Dal cestino del Caravaggio, 1967
Ispirazion­i Dal cestino del Caravaggio, 1967
 ?? ?? Caravaggio La Canestra di frutta risale agli anni tra il 1597 e il 1600
Caravaggio La Canestra di frutta risale agli anni tra il 1597 e il 1600
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Dal cestino del Caravaggio, 1974, olio su tela
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Dal cestino del Caravaggio, 1968, olio su tela
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Natura morta su fondo rosa, olio su tela

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