Corriere della Sera

Mottarone, l’inferno un anno dopo «Noi fra rottami, corpi e lamenti»

Le testimonia­nze di chi arrivò per primo sul luogo dell’incidente della cabinovia

- di Giuseppe Guastella gguastella@corriere.it © RIPRODUZIO­NE RISERVATA

Lo schiocco di una frusta gigantesca e terrifican­te scuote alle 12 del 23 maggio di un anno fa l’aria tersa di una splendida giornata di sole lungo le pendici del Mottarone. Un sibilo, poi un rumore di ferraglia, un tonfo sordo e il silenzio di morte.

Alcuni escursioni­sti terrorizza­ti vedono la cabina della funivia precipitar­e dopo una corsa impazzita all’indietro. Urlano, raggiungon­o di corsa i rottami dove trovano ad attenderli l’orrore di 14 corpi sparsi sul terreno o incastrati nei rottami. Tentano di soccorrere i feriti, di dare loro un ultimo conforto. Invano. Solo un bambino di 6 anni si salverà nella più grave sciagura degli impianti a fune avvenuta in Italia, che non ci sarebbe mai stata se i freni di emergenza della cabina non fossero stati colpevolme­nte disinserit­i con i famigerati «forchetton­i» e se fosse stata fatta la manutenzio­ne prevista dalla legge.

Sconforto, compassion­e e pietà umana e rabbia si fondono nei verbali redatti dai carabinier­i nei primissimi momenti seguiti alla sciagura e depositati nell’inchiesta del procurator­e di Verbania Olimpia Bossi e del sostituto Laura Carrera, che accusano 12 persone e due società (il gestore Funivie del Mottarone e la Leitner, colosso mondiale del settore cui era affidata la manutenzio­ne) di disastro, omicidio colposo plurimo, lesioni gravissime colpose e rimozione di sistemi di sicurezza.

Andrea, milanese di 39 anni, e la compagna Elisabetta, di poco più giovane, stanno trascorren­do la domenica lontani dal Covid sul sentiero che da Stresa porta in vetta. Si trovano proprio dove passa la funivia, a poca distanza dal punto di caduta della cabina. Andrea è tra i primi ad accorrere: «Ho sentito un forte rumore, difficile da descrivere, che proveniva dall’alto. Sembrava una specie di ferraglia,

un rumore metallico», dichiara. È orribile la scena che si trova dinanzi agli occhi quando raggiunge i rottami. Prega che qualcuno sia sopravviss­uto: «Ho cominciato a urlare e chiamare, nella speranza che qualcuno rispondess­e». Sì, lo fa un uomo con il po’ di voce che ancora gli resta nel corpo martoriato: «L’ho incitato a resistere». Arriva Pietro, 38 anni, uno dei tre addetti della funivia che, capito immediatam­ente ciò che è successo, con una corsa disperata scendono i 400/500 metri di pendio che separano la stazione a monte dal disastro. Anche lui tenta di dare conforto al ferito: «Mentre gli altri si occupavano dei bambini, io mi sono avvicinato» per parlargli «finché non è morto fra le mie mani». Andrea si accorge che c’è anche un bambino (ne sono morti due) che è ancora vivo. «Mi sono reso conto che era al lato. Ho provato ad aiutarlo,

lo sentivo respirare ma non ha mai parlato», dice. E sembra quasi che dalle righe del verbale dei carabinier­i venga fuori tutto il suo dolore.

L’attrito ha arroventat­o la fune traente che ha mollato in un attimo la cabina facendola precipitar­e dopo essersi spezzata all’altezza della testa fusa, che è l’ancora al carrello della stessa cabina. La corrosione, infatti, s’era mangiata la fune dall’interno in quasi cinque anni in cui nessuno ha mai fatto la manutenzio­ne che, su quel punto delicatiss­imo, an

dava eseguita ogni tre mesi. La compagna di Andrea, Elisabetta, 38 anni, prima di correre a dare una mano nei soccorsi, nota, infatti, che dove il capo incandesce­nte è caduto l’erba ha preso fuoco.

Massimo, un cinquanten­ne dipendente delle Funivie del Mottarone, si trova sul pizzale della stazione di arrivo quando vede un filo di fumo salire nei pressi del pilone numero tre, quello che ha fatto da trampolino facendo saltare e precipitar­e la cabina che correva all’impazzata. Arriva con i colleghi e gli si presenta lo stesso scenario drammatico. «Ho visto la vettura — dichiara — disintegra­ta contro gli alberi. Mentre mi avvicinavo lentamente, ho trovato il primo cadavere». Lui, che è operatore di primo soccorso, prova a fare qualcosa: «Ho cercato di portare, per quello che potevo, soccorso ai feriti. Sono entrato nella cabina dove ho trovato un superstite con cui ho parlato per qualche attimo prima che morisse davanti a me».

«A terra vi erano alcuni corpi in condizioni molto gravi» e «in posizioni innaturali», conferma Claudio, 60 anni. Anche lui si trova vicino al pilone della morte, vede tutto. «Ho capito che stava succedendo qualcosa di tragico». Risale il crinale per una ventina di metri per avvicinars­i alla carcassa contorta. Ha lo stesso istinto degli altri, cioè chiamare ad alta voce: «Ho urlato per vedere se qualcuno potesse rispondere, solo dall’interno della cabina ho ricevuto una risposta». È durata un attimo.

Domani, i bambini, le donne e gli uomini periti saranno commemorat­i nel luogo del disastro con una cerimonia, riservata ai soli parenti, e la posa di una lapide in pietra locale sulla quale sono incisi i loro nomi, mentre alle 11 in vetta ci sarà una messa di suffragio nel primo anniversar­io di una tragedia alla quale sarà impossibil­e trovare una spiegazion­e che non sia quella che darà la giustizia. In appena un anno, i magistrati hanno già praticamen­te chiaro l’intero quadro, hanno sostanzial­mente finito le indagini e sono in attesa solo delle conclusion­i ufficiali della perizia sulle cause dell’incidente disposta dal giudice con un incidente probatorio che riprenderà il 14 luglio. Il processo non dovrebbe tardare.

” Pietro, 38 anni

Mi sono avvicinato a un ferito per parlargli finché non è morto tra le mie braccia

” Massimo, 50 anni La vettura era in pezzi contro gli alberi, mentre mi avvicinavo ho trovato il primo cadavere

 ?? ?? Sopralluog­o Le forze dell’ordine e il soccorso alpino davanti a quel che resta della cabina (Di Marco/Ansa)
Sopralluog­o Le forze dell’ordine e il soccorso alpino davanti a quel che resta della cabina (Di Marco/Ansa)

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