Trasgressioni Seydoux
La diva francese al festival con «Un beau matin» e in concorso con il film di Cronenberg «Sono abituata a ruoli estremi ma amo interpretare donne vere L’erotismo di Emmanuelle? Farò il remake, non vedo l’ora»
CANNES «È la prima volta che recito la parte di una donna normale. È una storia semplice in cui tanti possono riconoscersi. Faccio film con un unico obiettivo: toccare il cuore del pubblico. Poterlo fare con una donna come la Sandra di Un beau matin di Mia Hansen-Løve è stata un’esperienza nuova ed emozionante».
Léa Seydoux sa bene di essere agli antipodi dell’aggettivo normale: rampolla dell’aristocrazia del cinema francese (e anche di famiglia nobile), a 36 anni è destinata a ereditarne lo scettro di regina, conquistato a suon di ruoli estremi, da La vita di Adele (Palma d’oro nel 2013) fino alla Caprice di Crimes of the future con cui David Cronenberg torna in gara a Cannes, che con il partner Saul Tense (Viggo Mortensen) rimuove organi umani
fatti crescere grazie a una macchina come azioni di arte performativa.
Non stupisce che la madre single di Un beau matin, alle prese con la malattia degenerativa del padre e con una quotidianità che non fa sconti — passato alla Quinzaine e acquisito per l’Italia da Teodora — risulti per lei un’esperienza inedita.
La normalità, nel suo caso, risulta una trasgressione.
«Non sono normale, lo so. Non lo è il lavoro che faccio, né la mia vita. Sono fuori dall’ordinario, perciò il film di Mia vale tantissimo. Capita anche a me, da spettatrice, che un film mi arrivi al cuore. Il cinema ha fatto di me quello che sono. Di più, mi aiuta a vivere».
Il film ha una valenza autobiografica per la regista, già autrice di «Bergman Island», lo ha scritto dopo la morte del padre.
«Contiene molte emozioni vere e contraddittorie: la tristezza e il dolore ma anche alcuni aspetti teneri e una nuova apertura alla vita. E Mia lo racconta con una forza che mi ha toccato personalmente, l’ho sentita vicina. Quando abbiamo esperienza diretta della morte, per quanto possa sembrare strano, siamo ancora più spinti verso la vita».
Mia Hansen-Løve ha spiegato che è rimasta colpita dalla sua semplicità, Cronenberg invece ha detto che lei è gentile ma in modo feroce. Si riconosce?
«Sono un’attrice. Ho diverse sfumature da mostrare.
Quello che conta per me è sentire che nel personaggio c’è verità. Non ho mai interpretato un supereroe ma sento di poter essere credibile anche in quel ruolo».
Come ha lavorato con Cronenberg?
«Posso dire che David è un uomo buffo e intelligente. Ci siamo divertiti moltissimo».
È diverso essere diretta da una donna o da un uomo?
«Sì, con una regista in genere mi trovo a interpretare un alter ego dell’autrice. Mentre nel caso dei registi sono la rappresentazione dell’altro, dell’opposto, la loro fantasia visiva di una donna. Mi sta bene, sono punti di vista diversi».
Lei sarà protagonista del remake di «Emmanuelle» (classico del cinema erotico con Sylvia Kristel), diretta da Awdrey Diwan, Leone d’oro 2021. Cosa dobbiamo aspettarci?
«Sono impaziente di lanciarmi con lei in questa esplorazione della natura femminile. Cosa sarà? Il ritratto di una donna contemporanea. Quello che amo di più sui set, è collaborare, scrivere il film insieme a registi e registe. Porto le mie idee. Amo collaborare, non mi piace l’autorità. Come attore sei un co-autore».
Lo pensa anche per «La vita di Adele» di Kechiche? Sono passati quasi vent’anni da quella Palma d’oro e dalle polemiche che seguirono.
«Credo che la giuria abbia capito che era il frutto di un lavoro collettivo tra interpreti e regista e che sia stato un premio molto meritato».
Come reagisce se un suo film non convince la critica?
«È successo per Storia di mia moglie di Ildikó Enyedi. Per me è uno dei più belli che ho fatto. Però quando è uscito a Parigi ho ricevuto tanti messaggi. Uno di Catherine Deneuve: mai successo prima. Come una Palma d’oro».
Per la prima volta recito nella parte di una single che deve affrontare problemi quotidiani