«Un piano per il digitale, formare 2 milioni di italiani»
Profumo (Acri): un fondo di 350 milioni con il ministero dell’Innovazione
Quindici milioni a disposizione già dalla seconda metà dell’anno per alfabetizzare al computer le nuove generazioni. Il Fondo per la Repubblica digitale ideato dall’associazione delle fondazioni bancarie punta a supportare l’azione del governo nel modernizzare il Paese sotto la spinta del Pnrr. L’ambizione del presidente di Acri (e anche di Compagnia di San Paolo), Francesco Profumo, è eguagliare il Fondo di contrasto alla povertà educativa minorile realizzato sei anni fa dal predecessore Giuseppe Guzzetti.
A che punto è il progetto?
«Sta entrando nel vivo. Il Mitd e il Mef hanno affidato ad Acri il ruolo di soggetto attuatore del Fondo ovvero il compito di gestirne l’operatività, la redazione dei bandi e la valutazione dei progetti. Il primo avviso entro l’autunno».
Come funzionerà?
«Il Fondo per la Repubblica digitale vale 350 milioni ed è alimentato dalle fondazioni tramite un credito di imposta fino al 2026 tra il 65 e il 75%. In questo primo anno ci saranno 15 milioni a disposizione, ma saliranno a 90 milioni annui. È previsto un comitato scientifico, che misurerà il livello di competenze digitali acquisite e i posti di lavoro creati. Il comitato di indirizzo invece indicherà le linee dei bandi. Si tratta di una sfida ambiziosa, nata per accompagnare la transizione digitale anche sul piano della promozione del capitale umano, un tassello a nostro avviso fondamentale».
La platea di riferimento?
«Due milioni di persone in 5 anni. Nella fascia 16-75 anni sono 26 milioni gli italiani che non hanno le competenze digitali di base: il nostro Paese è 16 punti indietro rispetto alla media europea».
Carlo Messina, ceo di Intesa Sanpaolo, chiede azioni di coordinamento con il governo per dar vita a un progetto dove, tramite donazioni o meccanismi di coordinamento con le Fondazioni, si possa ottenere aumento del Pil, mitigazione sociale e combattere così i fenomeni inflattivi. Cosa risponde l’Acri?
«Il coinvolgimento del governo mi sembra assolutamente opportuno, la nostra esperienza ha dimostrato che la formula del partenariato pubblico-privato è molto efficace. Le fondazioni sono quindi pronte ad ascoltare e a mettere in campo tutto il loro bagaglio di risorse e di competenze accumulato in trent’anni di attività sui territori».
Sempre sul fronte Pnrr avete siglato un’intesa con il Ministero degli Affari regionali.
«Sì, per incentivare forme di collaborazione tra le Regioni e le fondazioni volte a favorire l’accompagnamento degli enti locali nella partecipazione ai bandi del Piano. Le prime Regioni si stanno già attivando al riguardo».
A che punto sono i confronti con il Ministero dell’Economia sul protocollo Acri-Mef?
«In seno all’associazione stiamo ragionando su alcuni piccoli aggiustamenti da proporre sul protocollo, che non ne alterano comunque la sostanza».
A Torino si è riunito il Consiglio d’Europa: è l’occasione per saldare le progettualità e le azioni delle fondazioni a quelle straniere?
«Da tempo le fondazioni italiane stanno intessendo relazioni con le organizzazioni filantropiche del continente. In particolare, riguardo alla lotta al cambiamento climatico, accoglienza dei migranti, promozione del patrimonio culturale e tanto altro. Inoltre, Acri e diverse Fondazioni associate partecipano a Philea, il più grande network europeo della filantropia, che si spende per portare al centro dell’attenzione della Ue temi come l’imprenditoria sociale, la finanza d’impatto, la cooperazione internazionale».
Dall’ultimo rapporto Acri il risultato delle gestioni patrimoniali segna un evidente peggioramento, passando da 146,3 milioni nel 2019 a 27,2 milioni. Il covid e ora la guerra non mettono al riparo gli investimenti delle fondazioni, da cui dipendono le erogazioni. Van ripensati gli investimenti?
«La ripresa della distribuzione dei dividendi da parte delle banche, unita a un buon andamento delle gestioni patrimoniali, ha determinato un ottimo incremento generalizzato nell’avanzo di gestione. Il 2021 è stato il primo anno in cui ha avuto effetto la riduzione della tassazione dei dividendi introdotta con l’ultima Legge di Bilancio: sono stati “liberati” circa 150 milioni di euro ulteriori per le erogazioni. Tutto questo, con la pratica delle Fondazioni di mantenere cospicui fondi di stabilizzazione, può contribuire a tenere la loro attività istituzionale al riparo dalle fluttuazioni del momento».
L’inflazione potrebbe generare oltre un milione di poveri. È il caso di mettere da parte la trasformazione delle Fondazioni in operative/digitali e studiare nuovi progetti di assistenza?
«Privilegiare un aspetto a scapito dell’altro rischia di fare grandi danni e minare lo sviluppo di un Paese. Sempre più spesso il modello che si sta affermando è quello di un mix di strumenti, che vanno dall’accompagnamento alle call for ideas, dalla coprogettazione alle erogazioni “immateriali” La vecchia distinzione tra operating e grantmaking rischia di stare un po’ stretta alle Fondazioni del 2022».