Le giornaliste del tg afghano in tv coperte: «Ci cancellano» I colleghi velati per solidarietà
L’editto in vigore da ieri. «L’alternativa era scomparire»
«Oggi sono andata in onda con il volto coperto e mi è sembrato che mi togliessero l’identità, è stato come essere cancellate dalla scena». È demoralizzata e arrabbiata Sonia Niazi, 22 anni, conduttrice di Tolo News, per il nuovo editto talebano che obbliga le giornaliste e le presentatrici di tutte le emittenti afghane ad apparire in video con un velo che lascia visibili solo gli occhi e un abbigliamento che «non sia troppo stretto per rappresentare le parti del corpo né abbastanza sottile» da rivelarne le forme.
Loro, all’inizio, hanno provato ad opporsi: «È dal 4 maggio che rifiutiamo il nuovo dress code», ha raccontato al Corriere della Sera dopo aver concluso la giornata di lavoro più difficile della sua vita, «ma oggi (ieri ndr) ce l’hanno imposto. Avevamo due scelte: o essere messe da parte o andare in onda in quel modo. Abbiamo deciso che così saremo ancora la voce delle tante ragazze che non possono più andare a scuola. L’alternativa era scomparire».
Ieri, il portavoce del ministero per la Propagazione della virtù e la Prevenzione del vizio, Akif Muhajir, ha annunciato che l’editto che obbliga le donne ad indossare il velo durante i programmi televisivi sarebbe entrato in vigore.
A dar forza alle giornaliste è stata la solidarietà dei colleghi maschi che si sono vestiti di nero e hanno coperto il viso in segno di protesta. «È un giorno di profondo dolore per noi», ha scritto Khpolwak Sapa, vicedirettore di Tolo News, in un post su Facebook. «È come se fossimo tutti in lutto — continua Niazi —, vorremmo che i nostri colleghi in Occidente non ci lasciassero soli come hanno fatto i capi di governo dei loro Paesi».
Da quando i talebani hanno ripreso il controllo dell’Afghanistan, il 15 agosto, il governo, formato naturalmente da soli uomini, ha varato una serie di norme e regolamenti che hanno eroso velocemente la libertà conquistata dalle donne nei venti anni precedenti: dal diritto all’istruzione alla possibilità di lavorare e viaggiare da sole. Infine, all’inizio di maggio, l’editto che imponeva loro di indossare il burqa fuori di casa. «Non possiamo gettare via quello che abbiamo ottenuto in questi venti anni», s’infiamma Niazi. «Le decisioni dell’Emirato islamico dimostrano che i talebani hanno paura delle donne alfabetizzate. Il problema è come combattere, perché chi protesta viene spazzato via». L’alternativa è attaccarsi con le unghie e con i denti al proprio lavoro: «Il giornalismo è la mia forma di lotta», spiega la conduttrice, «e finché potrò mi terrò stretto il posto. Certo le premesse non sono buone: oggi abbiamo le facce coperte, domani potrebbero decidere di rimuoverci dalla scena».
Ieri il rappresentante speciale degli Stati Uniti per l’Afghanistan, Thomas West, ha telefonato al ministro degli Esteri talebano, Khan Mutaqi, per esprimergli «l’opposizione internazionale alle restrizioni sui diritti e sul ruolo delle donne». Ma qui in Afghanistan questo tipo di azioni sono inefficaci: «Non vediamo una vera reazione dell’Occidente», conclude la giornalista. «In verità ci sentiamo usate politicamente sia dall’Emirato Islamico che dalle democrazie del mondo, che si riempiono la bocca di diritti umani e delle donne ma in concreto poi cosa fanno?».
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I talebani mostrano di avere paura delle donne istruite. Il giornalismo è la mia forma di lotta
Sonia Niazi, conduttrice di Tolo News