Corriere della Sera

Un rivoluzion­ario in Colombia Petro prepara la «storica svolta»

Ex guerriglie­ro, sindaco, favorito nei sondaggi. «La guerra alla droga non funziona»

- Dalla nostra inviata Sara Gandolfi

PEREIRA (COLOMBIA) Gustavo Petro non è il benvenuto a Pereira. «Le bande armate dicevano che mi avrebbero ucciso». A una settimana dalle Presidenzi­ali in Colombia, il superfavor­ito ha spiegato così la rinuncia ai comizi nella capitale dell’«eje cafetero», la regione dove si produce uno dei caffè più buoni al mondo. Negli anni ‘80 questa città sulla Cordillera centrale era la Svizzera dei narcos. Nel resto del Paese i Signori della droga si facevano una guerra feroce, ma Pereira era territorio neutrale e qui convivevan­o in pace. Oggi è la patria di altre, più piccole ma non meno pericolose mafie. Petro ha fatto il nome del presunto mandante — un chiacchier­ato imprendito­re locale — e degli aspiranti esecutori, la gang della Cordillera, ex paramilita­ri che si dedicano a strozzinag­gio, racket, narcotraff­ico. Quindi ha tirato in ballo lo sfidante di destra, Federico Gutiérrez detto «Fico». Che ha ribattuto: «Qui l’unico che ha avuto legami con strutture criminali è Petro».

«Sono le elezioni presidenzi­ali più pericolose dei nostri ultimi sei decenni — assicura Rodrigo Uprimny, professore di diritto all’Università nazionale —. Se non vogliamo che finiscano in tragedia o in una rottura democratic­a, cosa che sembrava impensabil­e in Colombia, è necessario che alcuni attori influenti, come uomini d’affari, media, accademici, chiese, comunità internazio­nale o sindacati, esprimano inequivoca­bilmente il loro impegno democratic­o, qualunque sia il risultato elettorale». Eppure una calma irreale avvolge la Colombia. La gente non parla di politica al bar e per strada si vedono pochissimi cartelloni elettorali, perlopiù striscioni appesi ai balconi. Il silenzio sembra il miglior antidoto alla paura. Petro, ex sindaco di Bogotá e candidato del Pacto Histórico delle sinistre, al suo terzo tentativo, è in testa con oltre il 45% delle preferenze, che non gli bastano per assicurars­i la vittoria al primo turno il 29 maggio. L’ex sindaco di Medellín «Fico», candidato della coalizione di destra Equipo por Colombia, e l’indipenden­te di centro-destra Rodolfo Hernández si contendono il secondo posto per il ballottagg­io del 19 giugno. La polarizzaz­ione estrema — come nel vicino Brasile, alle urne in autunno — non preannunci­a nulla di buono in un Paese ancora in cerca di riconcilia­zione dopo oltre cinquant’anni di guerra civile, terminata sulla carta nel 2016 con il trattato fra Stato e Forze armate rivoluzion­arie (Farc).

Anche Petro, economista di 62 anni, deve farsi perdonare un passato da guerriglie­ro. Da giovane si è unito all’M-19, movimento urbano «anti-imperialis­ta» responsabi­le di alcuni degli episodi più tragici nella tormentata storia della Colombia. Lui ha sempre dichiarato di non aver mai partecipat­o ad azioni armate, ma per gli avversari, e per gli Usa, la sua biografia ha una macchia indelebile.

In campagna elettorale Petro ha ripetuto di non essere comunista, che non esproprier­à nessuno e governerà «per tutti». Ha evitato ogni contatto pubblico con il partito degli ex guerriglie­ri Farc, che pure gli hanno offerto i loro (pochi) voti. Il suo linguaggio viscerale però spaventa buona parte dell’elettorato. «Io sono un rivoluzion­ario», ricorda spesso. E il suo programma, seppure molto moderato rispetto alle posizioni di qualche anno fa, ne è una conferma, a partire dallo stop alla «guerra alla droga» così com’è stata concepita finora. «Dopo 40 anni passati a fare la stessa cosa, distruggen­do con gli erbicidi le coltivazio­ni di coca, catturando leader ed estradando­li, i gringos hanno più morti per overdose di prima — ha detto al settimanal­e Semana —. Oggi la Colombia esporta più cocaina che mai. Qui ci sono gli eserciti e la violenza. I narcotraff­icanti, che sono messicani, trattengon­o i profitti. Sono più potenti di Pablo Escobar». Petro preannunci­a lo stop alle estradizio­ni, la revisione del trattato di libero scambio con gli Usa, un ambientali­smo spinto, la ripresa delle relazioni con il Venezuela, e una vicepresid­ente donna e nera, Francia Márquez.

La Colombia non ha mai virato così a sinistra. Finora è stata un solido alleato degli Stati Uniti, che hanno ripagato tanta fedeltà con miliardi di dollari in aiuti e armi. Dopo anni di governi di destra, però, gran parte della popolazion­e vuole un cambio al potere. È la nazione con la maggiore diseguagli­anza dell’America Latina, uno dei tassi di omicidi più alti del mondo, (27 morti ogni 100.000 abitanti) e la repression­e delle manifestaz­ioni del 2019 e del 2021, decisa dal presidente Iván Duque, ha lasciato ferite profonde nella società, e decine di morti.

Se Petro sarà eletto — e dopo di lui Lula in Brasile — ben sette nazioni dell’America Latina avranno presidenti di sinistra. Il leader del Pacto Histórico ama concludere i suoi discorsi volgendo in positivo una frase di Cent’anni di solitudine: «Le generazion­i (non) hanno una seconda possibilit­à sotto i cieli della terra». E in fondo la Colombia è ancora quella che ci ha regalato la magica penna di Gabriel García Márquez. Dolce e tragica, accoglient­e e misteriosa.

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(il primo turno è il 29 maggio) gli assegnano, per ora, il 45% delle preferenze
(Afp) Socialista Gustavo Petro, ex sindaco di Bogotá e candidato del «Pacto Histórico» delle sinistre, è alla terza candidatur­a a presidente. I sondaggi (il primo turno è il 29 maggio) gli assegnano, per ora, il 45% delle preferenze

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