La bella gioventù di Valeria
In concorso «Les Amandiers», film sugli allievi dell’autore Chéreau (interpretato da Garrel) La regista Bruni Tedeschi rievoca gli Anni Ottanta e la scuola di teatro. «Ma il lavoro degli attori è destabilizzante, io avrei paura per mia figlia»
Il dio di Valeria Bruni Tedeschi si chiama Patrice Chéreau, regista dirompente che attraversava opera (Wagner, tante prime alla Scala), teatro e cinema. Fondò una scuola di teatro «strana, alternativa, una specie di laboratorio», che fu la palestra di Valeria e che dà il titolo al suo ritorno in gara come regista a Cannes. Les Amandiers. La scuola viene vista, alla fine degli Anni ’80, attraverso gli occhi di due suoi allievi, e il film racconta la loro storia d’amore. Chéreau lo interpreta Louis Garrel, ex di Valeria. È rimasta la complicità, l’amicizia e una figlia adottata.
C’è un bel siparietto tra loro due. Più difficile aver interpretato Godard o Chéreau? «Chéreau. Valeria lo conosceva bene, era sua allieva, ne era innamorata, temevo di deluderla». Chéreau fondò la sua scuola di teatro, «strana, alternativa». «A un certo punto avevo pensato di interpretare io la ragazza», confida Valeria. E Louis, pensando al celebre film della bizzarra amicizia tra un’anziana piena di vita e un ventenne eccentrico, la freddò: «Cos’è, rifacciamo Harold e Maude?».
«Se non altro — riprende Valeria — ho dato i miei vestiti di ragazza a pois all’attrice». Ancora Louis: «Non dobbiamo fare false imitazioni, ho buttato i dialoghi, è complicato fingere di essere un regista. Io non ho rifatto Chéreau. Tutti più o meno ne erano soggiogati. Ho trovato un documentario su di lui in cui Valeria, piccola d’età, dice, mi piace un regista che mi rompe. Una masochista totale». E lei: «Continua, mi interessa molto, fate le domande a lui, è la prima volta che lo sento parlare del film e del suo lavoro... Patrice poteva essere brutale, implacabile, apparentemente cattivo. Ci chiedeva di dare tutto. Era come il dio del Monte Olimpo».
Cercava dagli allievi la necessità del teatro. Louis: «Venne a vedermi a teatro e disse, non capisco i commenti negativi della gente, per me è un buon spettacolo... Il cinema non è un mestiere, è un hobby, tutti possono recitare in un film». Valeria: «È un mestiere destabilizzante, ci sono momenti di grande vuoto, se nostra figlia (adottata con Garrel, ndr) volesse farlo, avrei paura».
La stanza dei giocattoli di Valeria è sempre quella, «una tragicommedia», tra l’autobiografico e l’immaginario, stavolta però non si tratta della sua famiglia genetica ma della sua famiglia artistica, le sue radici di attrice. «È vero, anche quando ho adattato Tre sorelle di Cechov mi sembrava di parlare dei miei familiari. Chéreau è stato il mio padre di lavoro». Quando è morto, nel 2013, lei era in treno con Louis Garrel «Gli dissi: abbiamo perso il nostro capitano».
Nel film siamo nella stagione dei sogni dischiusi sui bivi della vita, speranze, e illusioni, si esce dal bozzolo e si afferra il primo mattone della vita adulta. «La scuola è un capitolo fondamentale, mi ha lasciato una impronta profonda fino ad oggi. È come se il tempo non fosse passato».
Di bell’aspetto, gentile, carismatico, Chéreau fumava piccoli sigari dal sapore evocativo, «come la Madeleine di Proust. Ho usato le sue lettere, le sue interviste. Ma avevo bisogno di essere meno teoretica e più complessa. Patrice non avrebbe voluto essere dipinto come un idolo, senza screpolature. L’irriverenza era il suo tratto, ho dovuto mancargli di rispetto. Non ho avuto autocensure o tabù. Per me, recitare e scrivere è una forma di meditazione, nella vita quotidiana mi perdo, nel lavoro sono focalizzata. È come quando guardo mio figlio giocare a Lego, si tratta di costruire qualcosa con le mani, fantasia, ricordi».
Valeria sospesa tra il riso e il pianto, e tra l’Italia e la Francia: «La tragicommedia viene dalla mia infanzia italiana, è un legame più profondo, è il mio subconscio cinematografico. Ho bisogno di ridere sulla nostra esistenza e miseria».
Era la generazione dell’Aids. «La droga può essere il triangolo che circoscrive una relazione d’amore. Eros e thanatos. Volevo mostrare queste due forze opposte, l’energia giovanile mentre tocca la tragedia. Si tratta, come diceva Patrice, di cancellare i confini tra vita e lavoro. Io non sono brava, chiuso il set, a rientrare nella mia vita. Ma ora ho imparato a tornare sulla Terra con una piccola scala, mi è più facile occuparmi dei miei figli, fare avanti e indietro. La pace, per me, è aprire casa dopo il set dicendomi che ho cucito bene una manica della camicia». Tutto il resto la fa sentire inadeguata.
«Sogno che mi diano la notizia di un premio mentre sono a bere un caffè al bar».