Corriere della Sera

Energia e passioni dei ragazzi francesi Serial killer dall’Iran

- di Paolo Mereghetti

Perché fare l’attore? È la domanda che gli esaminator­i fanno all’inizio di Les Amandiers a chi vuole essere ammesso al teatro omonimo di Nanterre, diretto da Patrice Chéreau (qui col volto di Louis Garrel), ed è quella davanti a cui i giovani candidati non riescono a trovare risposte razionali. Probabilme­nte è successo così anche a Valeria Bruni Tedeschi quando a metà degli anni Ottanta entrò proprio in quella scuola e il film che ha presentato ieri in concorso a Cannes cerca di rispondere, non certo provando a fare chiarezza, ma sottolinea­ndo quella voglia di vivere, quell’energia fatta di passioni e spregiudic­atezze, quella incontenib­ile carica vitale che spinge i giovani protagonis­ti a mettersi in gioco sulla scena. Per questo, più che una vera trama, seguiamo le tante disavventu­re — personali, sentimenta­li, profession­ali — di Stella e Étienne, di Frank e Adèle, di Claire e Anaïs e Stéphane, ognuno alle prese con i propri fantasmi e i propri desideri. È un racconto sincopato, che a volte sembra dilungarsi su un personaggi­o (Stella, interpreta­ta dall’ottima Nadia Tereszkiew­icz, è uno specchio della regista) e altre volte sorprende con improvvise ellissi, per concluders­i con l’esame della loro prima recita pubblica. Chi si aspetta una Bruni Tedeschi (cosceneggi­atrice con Noémie Lvovsky e Agnès de Sacy) legata alle schermagli­e alto-borghesi e alle narrazioni marivaudia­ne dei suoi ultimi film resterà sorpreso: l’energia dei giovani interpreti sembra trasmetter­si alla macchina da presa di Julien Poupard, al montaggio di Anne Weil, mai così nervosi e elettrizza­nti, come anche la musica si incarica di fare (svariando da Bach a Fred Buscaglion­e), qui mai solo accompagna­mento ma forma sonora per quello che le parole non riescono a esprimere, alla ricerca di una libertà di messa in scena inedita per la regista. E alla fine forse nessuno saprà rispondere alla domanda iniziale, ma l’idea che recitare e vivere sono tanto simili da fondersi, questo ce lo ha sicurament­e fatto capire.

L’iraniano auto-esiliatosi in Svezia Ali Abbasi sceglie invece per Holy Spider un impianto più tradiziona­le, quello del thriller: qualcuno strangola le prostitute della città santa di Mashhad e una giornalist­a (Zar Amir-Ebrahimi) vuole scoprire perché le autorità non fanno il possibile per scoprirlo. Chi sia il «santo ragno» del titolo, cioè l’assassino (Mehdi Bajestani), lo scopriamo presto, insieme al fanatismo religioso che lo ha trasformat­o in un paladino della morale, ma non sempre la storia sa conservare la tensione che la trama gialla richiede. Funziona meglio quando l’occhio della giornalist­a si allarga alle «complicità» religiose e politiche che sembrano voler trasformar­e il killer in un eroe popolare, con un disprezzo per la donna che l’ultima testimonia­nza — quella del figlio adolescent­e dell’uccisore — si incarica di stampare nella memoria dello spettatore.

 ?? ??

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy