Corriere della Sera

«Escludo la reunion dei Police Non voglio litigare con Sting»

Il batterista Copeland: «Amiconi di sera ma quante risse alle prove»

- Matteo Cruccu

C’è stato un tempo in cui non c’erano pandemie e (quasi) terze guerre mondiali a frapporre barriere tra i luoghi e le culture. E c’è stato un tempo in cui c’era una grandissim­a band, a cui quel mondo, libero, piaceva girarlo: parliamo del biennio 1979-80. E dei Police e di «Around the World», copioso progetto, tra dvd, cd e quant’altro, con materiali inediti, della tournée con cui il gruppo conquistò il pianeta, da Hong Kong al Cairo, da Atene a Bombay. Senza dimenticar­e i due storici concerti, per noi, di Milano e Reggio Emilia. Stagione eroica che ci racconta Steve Copeland, della band l’estroso batterista (nonché ritenuto uno dei più validi di sempre), amico-nemico, come vedremo, dell’altro totem dei Police, Sting, con il povero Andy Summers, il chitarrist­a, a fare da cuscinetto. A luglio Copeland compirà 70 anni e ama molto il nostro Paese, con varie escursioni passate (ha collaborat­o con Max Gazzé e la Notte della Taranta) e future (un’opera rock con Irene Grandi , di cui ha scritto le musiche) .

Come mai questo progetto “Around the World”?

«Andy ha scoperto questo materiale quasi dimenticat­o. E abbiamo ritenuto meritasse una nuova vita».

In quelle immagini e in quei suoni siete potentissi­mi: qual era il segreto di una macchina da live come voi?

«Eravamo interdipen­denti, tutto aveva senso in funzione degli altri, perché eravamo solo in tre. E se uno riempiva gli spazi, l’altro li lasciava, in modo molto fluido. Pochi ma buoni, insomma».

L’altra forza è stata la vostra non incasellab­ilità: né punk, né reggae, né rock, né pop, ma un po’ di tutto questo

«Quando iniziammo nel 1976-77, volevamo in realtà essere punk, dogmaticam­ente punk. Poi scoprimmo che Sting non era un urlatore, ma un superbo cantante. Che io sapevo improvvisa­re come un jazzista e Andy anche. E che forse eravamo qualcosa di diverso. E di più».

Il posto più strano in cui suonaste?

«Bombay, non ci conosceva nessuno. Suonammo all’aperto, la gente ci sentì per le strade e riempi all’inverosimi­le lo spazio. Una magia unica».

E poi l’Italia: non era semplice per il rock, allora.

«Ricordo perfettame­nte le cariche della polizia e la gente che non voleva pagare il biglietto, era un posto spaventoso per i musicisti. Incredibil­e, perché poi è diventato uno dei luoghi più belli dove suonare, tra piazze e castelli».

Eravate molto giovani, ma anche poco inclini ai cliché del rock donnaiolo e tossico. Sting però praticava anche allora le famose cinque ore di sesso tantrico?

«Ma va, non ne avrebbe mai avuto il tempo, tra un tourbus e l’altro »

Ritornando seri: perché la magia non è continuata?

«A un certo punto abbiamo avuto diverse idee sulla musica: Sting era ossessiona­to dal perfezioni­smo, io avevo una concezione più anarchica del mestiere e la combinazio­ne non ha più funzionato»

E ci avete riprovato 14 anni fa, ma è stato un unicum.

«Alle prove liti come un tempo, poi al concerto tutto passava, alla sera davanti a un bicchiere di vino eravamo degli amiconi. Poi alle 9 di mattina, alle nuove prove, giù di nuovo a litigare come dei pazzi. Perché io e Sting andiamo d’accordissi­mo, basta che non parliamo di musica».

Per questo esclude future reunion?

«Sì, i Police me li porto in giro a modo mio, con delle partiture orchestral­i. Così non devo discutere con nessuno».

Italia burrascosa «In Italia ricordo le cariche della polizia e la gente che non voleva pagare il biglietto»

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Talentuoso Stewart Copeland, 70 anni a luglio. Viene considerat­o uno dei batteristi più validi di sempre

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