Corriere della Sera

La vedova: «Ha ucciso una persona disarmata Doveva pensarci prima»

- DAL NOSTRO INVIATO F. Bat.

KIEV «Dico solo che, se proprio gli avevano ordinato di sparare, lui poteva puntare il suo mitra da un’altra parte». La vedova sparisce dalla folla dei giornalist­i, il giorno della sentenza. «È stata una cosa molto dura», spiega l’avvocato che in questa settimana l’ha sempre accompagna­ta al tribunale di Solomiansk­y: «E poi è stata una sofferenza guardare quel soldato dentro la gabbia di vetro. Lui aveva lo sguardo perso, oppure sempre in basso. Diceva d’essere pentito. Ma che pentimento è quello di chi non ti guarda nemmeno negli occhi?». La prima volta che l’ha rivisto, mercoledì scorso, Kateryna Shelipova ha dovuto scrutarlo meglio: quella specie di bambino era l’assassino del suo Oleksandr? «Un primo momento, mi ha fatto quasi pena. Gli ho mandato a dire quel che direbbe una madre: hai sbagliato, ragazzo, e ora devi pagare. Ma poi l’ho detta in un altro modo: devi pagare, perché non s’ammazza così una persona anziana e disarmata. Mi dispiace, ma non credo che possa uscire qualcosa di buono da un ragazzino simile, anche se sembra solo un ragazzino. Il mio Oleksandr stava solo camminando, non aveva fatto niente di male a nessuno. E non era stato Oleksandr, a dire a quel soldato di venire a Chupakhikv­a. Nessuno l’aveva invitato nel nostro paesino ad ammazzare vecchi e bambini». Alle udienze, Kateryna s’è presentata con l’abito bello, nero a pois bianchi, e la foto d’Oleksandr da giovane, bello anche lui, in divisa militare: il processo è stato il funerale solenne che suo marito non è riuscito ad avere, in quelle giornate d’inverno e di morte, quando si seppelliva­no i morti di corsa e sotto gli spari. Le guance rosse dall’emozione, gli occhi di brace, Kateryna ha ascoltato ogni parola, tutte le testimonia­nze, i periti che mostravano in aula l’arma del delitto. Ha deposto anche lei: «Quand’ho sentito i colpi in strada — il suo racconto —, sono corsa dal cortile al cancello e l’ho aperto. Mi sono trovata davanti quel ragazzino, che ha puntato l’arma anche su di me. Ho richiuso. Ho aspettato qualche minuto. Poi sono uscita e mio marito era per terra, morto, fra i due prugni che abbiamo davanti a casa». Non se ne fa nulla, Kateryna, della richiesta di perdono del soldato: «Doveva pensarci prima». Perché peggio di lui, aggiunge, sono i suoi genitori: «Hanno detto che è tutto inventato. E se non è inventato, dicono che queste sono cose che in guerra succedono. Non è vero. Anche mio marito è stato un soldato e non sparava sulla gente per strada: sono cose che succedono se mandi i ragazzini a fare una guerra come questa».

15 Gli anni di carcere che il difensore d’ufficio del soldato, Viktor Ovsyanniko­v, sperava di ottenere per il suo assistito

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