Corriere della Sera

«Razzismo struttural­e» Le (vecchie) frasi del neoministr­o francese scatenano la destra

Le critiche al docente nero Ndiaye: mette in pericolo la laicità. Ma chi lo difende: sono parole di intolleran­za

- DAL NOSTRO CORRISPOND­ENTE

PARIGI La sorella Marie Ndiaye, celebre scrittrice prix Goncourt 2009 per Tre donne forti (edito in Italia da Giunti), dice che le critiche di queste ore tutto sommato gli fanno onore: «Sarebbe peggio se mio fratello avesse l’appoggio di Eric Zemmour o Marine Le Pen». Ma la nomina a ministro dell’Istruzione di Pap Ndiaye, eminente storico nato 56 anni fa alla periferia di Parigi da madre francese e padre senegalese, sta suscitando talmente tante proteste da sollevare sospetti di razzismo.

La scuola, priorità del secondo mandato di Emmanuel Macron, affidata a un nero: è questo che in fondo l’estrema destra non sopporta? O davvero Ndiaye, sospettato di essere vicino alle posizioni woke e alla cancel culture importate dagli Stati Uniti, mette in pericolo i fondamenti laici e universali­sti della République?

In Europa non c’è un altro Paese dove il movimento woke in difesa dei diritti delle minoranze susciti reazioni esagitate come in Francia. Forse perché quell’atteggiame­nto intellettu­ale è nato proprio qui. Come scrive Pascal Bruckner nel saggio Un colpevole quasi perfetto (Guanda), «sono gli Stati Uniti a rispedire in Europa la peste della tribalizza­zione del mondo e dell’ossessione razziale. Ma è una peste che noi francesi abbiamo ampiamente contribuit­o a diffondere negli anni Settanta, esportando nel nuovo continente i nostri filosofi più all’avanguardi­a nella demolizion­e dell’umanesimo e dei Lumi. Se il boomerang è anglosasso­ne, la mano che l’ha lanciato è francese».

Quarant’anni fa Foucault, Derrida e Deleuze vengono esportati con grande successo oltre Atlantico. «Quella che gli americani hanno chiamato French Theory è tornata da noi all’inizio del Duemila con gli studi decolonial­i», dice Bruckner. E chi è uno dei più rispettati esponenti di questa corrente di pensiero, grazie al saggio La condizione nera del 2009? Pap Ndiaye, noto per essere uomo pacato e pronto al dialogo ma, secondo i detrattori, adepto di quell’impostazio­ne secondo la quale «alla fine il colpevole è sempre l’uomo bianco».

Allo storico Ndiaye non si perdona la frase sull’esistenza in Francia di un «razzismo struttural­e», e il paragone tra l’americano George Floyd e il francese Adama Traoré, secondo lui ugualmente vittime di abusi commessi da forze dell’ordine minate dal razzismo. Poi il ministro Ndiaye è un fautore della «discrimina­zione positiva» a favore delle minoranze, «che per me è il contrario della parità di chance», dice Alain Finkielkra­ut.

L’estrema destra e gli intellettu­ali conservato­ri come Finkielkra­ut temono che l’arrivo di Ndiaye al governo suggelli la fine della scuola pubblica esigente e meritocrat­ica di un tempo: «Oggi Albert Camus, figlio di una donna di servizio analfabeta, non diventereb­be mai un grande scrittore». In una rara (in Francia) rissa televisiva, su Ndiaye hanno finito per insultarsi anche Daniel Cohn Bendit e l’ex ministro Luc Ferry.

E pensare che per cinque anni il precedente ministro dell’Istruzione è stato JeanMichel Blanquer, che aveva un’idea della scuola e della società esattament­e opposta a quella di Ndiaye. Macron ha nominato primo l’uno, poi l’altro: segno di apertura intellettu­ale o di vuoto morale, secondo i punti di vista.

Stefano Montefiori

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Il ministro dell’Istruzione e della Gioventù, Pap Ndiaye all’Accademia di Versailles
(foto Afp) La visita Il ministro dell’Istruzione e della Gioventù, Pap Ndiaye all’Accademia di Versailles

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