Gli ultrà lo bloccano e gli strappano la tuta Choc per il calciatore dopo la sconfitta
La sera del 4 maggio scorso il calciatore Claudiu Micovschi, 23 anni, attaccante rumeno dell’Avellino, stava rientrando a casa dopo la partita in cui il Foggia aveva sconfitto gli irpini eliminandoli dai playoff per la promozione dalla serie C alla serie B. Lungo la strada la sua auto fu affiancata da un’altra che la strinse obbligandola ad accostare. Poco dopo arrivò una terza macchina e poi un’altra ancora che si fermarono contromano davanti a quella del giocatore per impedirgli di ripartire. Ci sono le immagini di una telecamera del circuito di videosorveglianza cittadino che raccontano quei momenti. Si vedono quattro persone che si avvicinano a Micovschi, parlano con lui e si capisce che non è una chiacchierata amichevole. Che sfocia — ricostruirà poi la polizia incrociando le immagini con la testimonianza dell’atleta — in una punizione. Micovschi è costretto a sfilarsi da dosso la tuta della squadra e a consegnarla a quei tizi.
Lo costrinsero a quel gesto perché, al pari dei suoi compagni, non lo ritenevano degno di indossare la divisa sociale dell’Avellino. Perché quelli erano ultrà, e quella notte gli ultrà scatenarono una caccia ai giocatori colpevoli di non aver raggiunto la promozione. Tre del gruppo che aggredì Micovschi sono stati individuati e ieri la Digos ha notificato a ognuno di loro — un ventiduenne e due trentenni già raggiunti in passato da Daspo — una ordinanza di custodia cautelare agli arresti domiciliari per rapina, violenza e minacce. Pare che tra gli aggressori ci fosse anche una donna, ma non sarebbe stata ancora identificata.
Le indagini della Questura di Avellino hanno accertato che dopo l’eliminazione dai playoff non fu solo il rumeno a essere preso di mira dagli ultrà. Almeno un altro giocatore sarebbe stato inseguito in auto, riuscendo però ad allontanarsi prima di essere bloccato.
La sconfitta con il Foggia aveva già provocato una violenta contestazione davanti allo stadio Partenio, e per fare uscire i giocatori era stato necessario farli passare attraverso un corridoio formato da un doppio cordone di poliziotti con caschi e scudi. Ma già all’interno dello stadio si stava respirando una brutta aria. E non solo per i fischi e i cori ostili provenienti dagli spalti.
La conferenza stampa post partita dei dirigenti dell’Avellino aveva raggiunto livelli di tensione altissimi. Soprattutto nelle parole di Giovanni D’Agostino — figlio del presidente Angelo Antonio D’Agostino e lui stesso amministratore della società — così come riportate dalla Gazzetta dello Sport: «È stata per tutto l’anno una squadra presuntuosa — accusò il giovane dirigente — non hanno dimostrato di essere degni di indossare questa maglia. Hanno sempre avuto la pancia piena pensando sin dal ritiro al rinnovo dei contratti. Sono amareggiato per i settemila tifosi e un appello alla piazza va fatto: è giusto e normale che qualcuno si sfoghi nei nostri confronti, ma ora i veri responsabili è facile individuarli nei calciatori». E infatti li hanno individuati subito.