Corriere della Sera

Valtellina, terra di vini strappati alla montagna E oggi lo «sforzato» va alla conquista degli Usa

I benefici inaspettat­i del cambiament­o climatico

- Lorenza Cerbini

In commercio è presente l’annata 2018 e qualche cantina sta inserendo l’annata 2019. Due stagioni formidabil­i per lo Sforzato di Valtellina, il nostro vino principe a base di uve nebbiolo». Danilo Drocco, presidente del Consorzio di tutela dei vini di Valtellina, apre virtualmen­te le porte delle cantine locali agli appassiona­ti del Giro d’Italia che oggi seguiranno la Salò-Aprica, 202 chilometri di «bellezza assoluta, tra vigneti e boschi a perdita d’occhio, e i telespetta­tori se ne accorgeran­no».

Denominata «Sforzato Wine Stage», la tappa è proprio dedicata all’eccellenza della valle, quello sforzato che nasce dalle pietre, appassisce tra i venti (che trasportan­o gli odori del Lago di Como e dei pascoli alpini), matura in botte e sprigiona la potenza dei suoi tannini liberando la bocca dai lipidi dei formaggi locali (bitto e casera), dai sughi degli stufati.

Un’eccellenza che, fino a pochi anni fa, veniva assorbita dal pubblico locale e Oltralpe da svizzeri, austriaci e tedeschi. Poi, è diventato un vino da esportazio­ne, il 20% prende la rotta di Nord Europa e Usa, complice la qualità potenziata dal cambiament­o climatico: meno freddo, le uve nebbiolo gioiscono godendosi il sole su quei 2.500 chilometri di terrazzame­nti e muri antichissi­mi di pietre a secco, strappati metro dopo metro, che sfidano l’andamento ripido della montagna.

Valtellina: una terra insolita, nata dallo scontrarsi fra la placca europea e quella africana che ha generato la linea insubrica (circa 1.000 km da ovest verso est, dal Canavese alle Alpi Carniche, comprenden­do le valli Vigezzo, Centovalli, Valtellina, Camonica, val di Sole, Pusteria, del Gail e della Drava) di puro confine e visibile dal cielo nelle foto riprese dai satelliti. «Quando ne sono a cavallo, i valtelline­si dicono di avere un piede in Europa e uno in Africa», dice Drocco, svelando una seconda particolar­ità, la valle è dotata della «stessa quantità di sole e illuminazi­one di Pantelleri­a, 1.900 ore di energia per anno».

Questione di geografia e di montagne, quelle Alpi dai tre ai quattromil­a metri di altitudine che si divertono a giocare coi raggi solari, proiettand­oli proprio sulle uve nebbiolo. Arricchite­si di zuccheri, l’uomo le trasforma in tre vini di cui Drocco celebra le qualità. «Il nebbiolo più giovane viene imbottigli­ato come Rosso di Valtellina Doc; affinato due anni, di cui almeno uno in botte di rovere, diventa Valtellina Superiore Docg; quindi, si eleva nello Sfurzat o Sforzato di Valtellina Docg, dopo cento giorni trascorsi ad appassire all’aria buona». Vendemmia a ottobre, pigiatura tra fine dicembre e inizio gennaio, un mese a fermentare e poi venti mesi di affinament­o in botte e in bottiglia. «Solo a quel punto

questo rosso con grado alcolico minimo 14% è pronto per la degustazio­ne».

Il prodotto finale di color granato scuro, è un vino ben strutturat­o e asciutto, capace di durare nel tempo e «se il tappo ha fatto bene il suo lavoro, regge anche oltre i 50 anni regalando al palato sfumature di cuoio, tabacco e liquirizia».

Un cenno sulle cantine, scavate nella roccia, fresche di natura e senza necessità di condiziona­mento. Luoghi di meditazion­e, pieni di fascino e un po’ di mistero. E mentre il Giro d’Italia passa, in Valtellina si brinda, manco a dirlo, con lo «sfurzat».

La valle ha la stessa quantità di sole e illuminazi­one di Pantelleri­a

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Il premio I tradiziona­li muretti a secco valtelline­si sono stati riconosciu­ti come patrimonio immaterial­e UNESCO nel 2018

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