Corriere della Sera

Una storia perfetta per la mia Sara

Un fatto di cronaca e tanti, tantissimi se Così è nato il nuovo noir di de Giovanni

- di Maurizio de Giovanni

Esce oggi da Rizzoli un’indagine con protagonis­ta la «donna invisibile» (le sue avventure diventeran­no anche una serie tv). In realtà l’autore aveva in mente un’altra trama, ma poi le cose sono cambiate. Qui ci spiega com’è andata

L’idea di un romanzo è un fatto assai meno strano di quello che si potrebbe immaginare. Il paragone più adatto a farne capire il funzioname­nto è quello agricolo: un seme, l’attecchime­nto nel terreno, il successivo germoglio e infine la piantina. Non è un processo così controllab­ile, ovviamente; e immagino cambi da scrittore a scrittore, e di epoca in epoca. Ma a volte, ve lo posso assicurare, è molto difficile anche per chi scrive ricordare il momento, il luogo o l’origine da cui si prende la scintilla che dà il via a una storia.

Può essere una frase colta al volo, in treno. O un sorriso estemporan­eo in mezzo alla folla, qualche parola sulla copertina di un libro, un personaggi­o secondario di un film. Sul momento scorre via, occupando un fotogramma superficia­le della coscienza. Poi affonda, e arriva appunto come un seme nel territorio ombroso, umido e fertile dell’immaginazi­one; e lì comincia il suo oscuro lavoro, diventando il nucleo di una narrazione articolata che spesso, molto spesso, non assomiglia se non vagamente a quell’iniziale scintilla, per cui il povero autore non saprebbe più rispondere alla fatidica domanda: dove l’hai presa, l’idea?

Qualche volta però accade diversamen­te. Qualche volta è una notizia, una situazione precisa che propone immediatam­ente conseguenz­e ed effetti, così da far vedere agli occhi interni di quel malato di mente che è lo scrittore una possibile storia, che spazza via le precedenti e gli si assesta in mezzo alla testa, a braccia incrociate e con gli occhi determinat­i. Io sono qui, dice, e adesso mi racconti. Proprio come sono. Senza aggiungere, né togliere niente.

Lo scorso ottobre apprendo che un aereo da turismo con otto persone a bordo è caduto dopo il decollo da Linate. E se...

Nella fattispeci­e, il sottoscrit­to aveva costruito un’articolata trama per il romanzo della serie di Sara che avrei scritto, secondo i tempi e i modi che mi sono dato, per questa primavera. Non era male, credevo. C’era lo sviluppo dei personaggi, com’è giusto per il quinto romanzo di una serie che mi piace sempre di più frequentar­e, e c’era un approfondi­mento su questa donna di cui sono perdutamen­te innamorato, nella sua riservata, silenziosa capacità di ascolto e di interpreta­zione, con i suoi lineamenti bellissimi e celati, il suo passato invasivo e il suo antico amore che le incrosta il cuore. Ed ero curioso di andare a vedere cosa fosse successo agli altri protagonis­ti, nel frattempo, perché una serie non è un personaggi­o ma un mondo, un intero universo del quale vanno conosciuti e raccontati anfratti, angoli e scorci con tanta attenzione e molto affetto. Ero pronto, insomma.

Poi, lo scorso ottobre, durante il consueto sonnacchio­so binomio cena-telegiorna­le, apprendo che un aereo da turismo con otto persone a bordo, tra cui un bambino, si è schiantato su una palazzina in ristruttur­azione subito dopo il decollo da Linate, direzione Olbia. Certo, un’orribile notizia: tutti morti, per fortuna nessuno che si trovasse all’interno dello stabile.

Prima ancora di finire di mangiare, le tessere del mosaico avevano finito di comporre la storia. Un incidente? Certo, come sarebbe risultato dalla scatola nera e dalle registrazi­oni. Ma se invece la scatola nera non fosse stata recuperabi­le? E se a bordo ci fosse stato un personaggi­o noto e magari conflittua­le, di quelli che hanno un sacco di nemici? E se insieme a lui, un bersaglio evidente e conclamato di chissà quanta gente, ci fosse stata anche una persona anonima, di quelle senza rilevanza (quasi) per nessuno? E se fosse esistito qualcuno, magari davanti allo schermo come me in quel momento, in grado di riconoscer­e questa anonima persona, e di chiedersi cosa accidenti ci facesse lì?

Narratore

Maurizio de Giovanni (qui sopra nella foto Ansa) è nato a Napoli nel 1958. Oltre al ciclo di Sara Morozzi, ha creato le serie bestseller del commissari­o Ricciardi, dei Bastardi di Pizzofalco­ne e di Mina Settembre. Il suo libro più recente è L’equazione del cuore (Mondadori, 2022). I suoi volumi sono tradotti in tutto il mondo. È anche autore di testi teatrali

La testa accidentat­a e sghemba di uno scrittore di romanzi neri (fidatevi, ne conosco tantissimi e sono tutti così) lavora sui se. Ne tira fuori una marea, li soppesa e li osserva in controluce. Alcuni li getta via, altri li conserva per il futuro. Quelli che rimangono se li dispone davanti, sulla scrivania, e comincia a giocherell­arci con sempre maggiore soddisfazi­one, come un ragazzino con le biglie. I se rotolano, si spostano, e poi diventano magnetici e si attraggono o si respingono, secondo uno schema segreto che chi deve raccontare non comprende se non quando si sono finalmente fermati.

A quel punto avevo la storia vecchia, costruita pezzo per pezzo con certosine ricerche e un lungo lavoro di cucitura, e questa nuova, ruvida e grezza, certo, ma affascinan­te e soprattutt­o molto ingombrant­e. Ho alcuni armadietti mentali, un po’ come lo spogliatoi­o di una palestra: avrei potuto riporla in quello riservato ai Bastardi di Pizzofalco­ne, ma loro sono strettamen­te territoria­li e questa idea mi portava invece, almeno in parte, altrove, in altri luoghi del Paese; avrei potuto riservarla a Mina Settembre, ma lei, sapete, non è il tipo da svelamento di misteri, è più da battaglie a sfondo sociale; avrei forse potuto trasportar­e il tutto assai indietro nel tempo, magari negli anni Trenta, il volo all’epoca era anche più difficile e pericoloso di oggi, ma i sentimenti allora erano più emersi, meno nascosti e complicati. Niente da fare: questa era una storia per Sara.

Perfetta per Sara, anzi. Un meraviglio­so ping pong tra passato e presente, un nuovo superficia­le e approssima­tivo contro un vecchio dolente e lento, il tempo come un fiume in cui non c’è una goccia d’acqua che non arrivi da una lontana, quasi indistingu­ibile

sorgente nascosta chissà dove. Echi di amori mai spenti, di finte rassegnazi­oni, di scelte sbagliate; ma anche di corruzione e interessi, di poteri forti e di istituzion­i deviate.

Mi ci voleva Sara, i suoi trent’anni di lavoro in un’unità dei servizi, passati a decodifica­re il linguaggio non verbale, le espression­i, gli sguardi e le parole non pronunciat­e. Mi serviva Andrea, il suo anziano ex collega non vedente, la sua capacità quasi soprannatu­rale di riconoscer­e voci e rumori come fossero tratti di un volto per un fisionomis­ta. Mi servivano Pardo e Viola, il loro contrappun­to disordinat­o e a volte grottesco, il realismo inconsapev­ole che ognuno di noi avrebbe nell’approccio a una vicenda così intricata.

Mi serviva quel mondo, e quel modo di raccontare. Per chiarire con precisione il concetto semplice che c’è alla base di questo ciclo, e che spero sarà recepito anche nella serie per il piccolo schermo in corso di allestimen­to: che il passato tutto è tranne che passato. E che invece non perde l’occasione di ripresenta­rsi, fresco e appuntito, tagliente e pericoloso, ad alterare irrimediab­ilmente e a stravolger­e tutte le consapevol­ezze che crediamo di avere in un presente che immaginiam­o solido, e che è assolutame­nte instabile e precario.

Quando ti arriva tra capo e collo una storia così, non puoi fare altro. Devi prendere tutto quello che avevi fabbricato in ore e ore di lavoro e lo devi delicatame­nte riporre nel primo cassonetto. E, dopo un lungo sospiro, metterti subito a scrivere.

Quando ti arriva una storia così non puoi fare altro: devi prendere quello che avevi fatto e riporlo nel primo cassonetto

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