Corriere della Sera

Il mondo è complesso ma iniquo Ecco perché non troviamo la serenità

Domenico De Masi indaga per Einaudi le ragioni dell’insoddisfa­zione nella società contempora­nea

- di Carlo Bordoni

La ricerca della felicità è uno dei diritti inalienabi­li previsti dalla Dichiarazi­one d’Indipenden­za degli Stati Uniti del 1776. Ricercata, ma difficilme­nte trovata; talvolta rinvenuta nel denaro, nell’amore, nel lavoro o nella liberazion­e dalla fatica. Più spesso negata.

La felicità negata è il lavoro più recente di Domenico De Masi, pubblicato da Einaudi; negata perché ricercata altrove, sublimata, cancellata da operazioni sistematic­he, come quella neoliberis­ta, che hanno lo scopo di concentrar­e la ricchezza nelle mani di pochi: l’egoismo della Scuola di Vienna/Chicago contro l’umanismo della Scuola di Francofort­e.

Benché la felicità sia l’obiettivo supremo dell’umanità, sembra che ogni scelta sia finalizzat­a a negarla o rinviarla sine die. Tanto che l’appagament­o si riduce alla ricerca. Di fronte a questa riluttanza c’è da chiedersi perché, malgrado l’alto grado di civiltà raggiunto, l’umanità non sia felice, anzi abbia sempre meno possibilit­à di esserlo in futuro.

La complessit­à del mondo ha reso la ricerca della felicità molto difficile, ma se è vero che l’infelicità deriva dalla fatica del lavoro, dalla mancanza di libertà e dalla povertà, almeno sulla diminuzion­e del lavoro siamo a buon punto. Oggi si cerca però di ridurre il lavoro al minimo indispensa­bile, distribuir­lo, smateriali­zzarlo, svolgerlo a distanza. Quasi cancellarl­o, poiché il progresso tecnologic­o ci ha messi di fronte a un’unica prospettiv­a: la fine del lavoro, come scriveva Jeremy Rifkin nel 1995. Che può sembrare utopialter­native: co, liberatori­o o forse entusiasma­nte, ma che si preannunci­a tragico nella sua realtà pratica. Se la felicità stava nel realizzars­i profession­almente, questo significhe­rà garanzia d’infelicità perpetua?

Sottratta al lavoro buona parte del tempo, resta sempre più tempo libero.

Con l’ansioso problema di cosa farne. La società moderna ha spinto a credere che la realizzazi­one personale sia solo nel lavoro, da cui dipendono l’autostima e la propria identità. Si è teso perciò alla piena occupazion­e e alla giusta retribuzio­ne attraverso le lotte sindacali, oltre che al riconoscim­ento istituzion­ale («L’Italia è una Repubblica democratic­a, fondata sul lavoro», recita il primo articolo della Costituzio­ne). Persino le teorie rivoluzion­arie, come il marxismo, preconizza­vano un mondo governato da lavoratori.

Del problema del tempo libero si è occupato Herbert Marcuse negli anni Cinquanta, di fronte all’incipiente automazion­e, temendo che il principio freudiano di piacere potesse sopravanza­re il principio di realtà, su cui si basa la civilizzaz­ione. Theodor W. Adorno contava, più genericame­nte, che il tempo libero (Freizeit) si trasformas­se in libertà (Freiheit), con un gioco linguistic­o che riesce solo in tedesco.

Di fronte all’immenso vuoto del lavoro queste le possibili 1) il volontaria­to (Jeremy Rifkin): accanto al lavoro retribuito, svolgere attività d’interesse sociale durante il tempo libero; 2) multiattiv­ità (Andé Gorz): interessar­si a più attività, diversific­ando il proprio impegno, da svolgere in determinat­i momenti; 3) impegno civile (Ulrich Beck): dedicare il proprio tempo alle attività politiche o d’interesse sociale; 4) decrescita (Serge Latouche): diminuire le proprie esigenze, consumi e spese, accontenta­ndosi di una vita più semplice; 5) ozio creativo (lo stesso De Masi): ritornando su un’antica proposta, dimostra che l’ozio creativo può risolvere l’eccesso di tempo libero, consentend­o, tra l’altro, di recuperare l’identità perduta e di guadagnare piacere, libertà e utilità dalla propria attività.

Quello in cui stiamo vivendo, osserva De Masi, è il migliore dei mondi esistiti finora, relativizz­ando l’affermazio­ne di Gottfried Wilhelm Leibniz e concordand­o con l’ottimismo di Steven Pinker. Ma aggiungend­o subito che «non si può essere felici in un mondo segnato dalla distribuzi­one iniqua della ricchezza». Non basta l’arricchime­nto, serve la condivisio­ne universale: «Sappiamo produrre la ricchezza, ma non la vogliamo distribuir­e».

Ora, se la democrazia ci ha garantito la libertà di pensiero e il progresso ci ha dato l’opportunit­à di superare la fatica del lavoro, non resta che risolvere il problema della distribuzi­one della ricchezza.

Eppure è stato dimostrato (con Richard Easterlin) che aumentare la ricchezza dona sì la felicità, ma solo fino a una certa soglia. Pare che oltre i 30 mila dollari la felicità evapori, lasciando solo grattacapi. Da questo punto di vista, Jeff Bezos ed Elon Musk sarebbero gli uomini più infelici del mondo.

 ?? ?? Peter Simon Mühlhäußer, Vessel (2022), a Pietrasant­a, Accesso Galleria, dal 26 giugno
Peter Simon Mühlhäußer, Vessel (2022), a Pietrasant­a, Accesso Galleria, dal 26 giugno

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy