Corriere della Sera

UNA SCONFITTA FRUTTO DELL’IPOTECA ESTREMISTA

Il leader del Movimento smentisce le voci di appoggio esterno all’esecutivo: è stato Di Maio il vero irresponsa­bile

- Di Massimo Franco

Il bilancio, per Giuseppe Conte, è da brividi; ma in negativo. Il leader del M5S ha voluto e alla fine subìto la frattura interna: il nemico Luigi Di Maio, ministro degli Esteri, si porta via circa un quarto dei parlamenta­ri, rivendican­do una linea atlantista. E i grillini hanno accettato una risoluzion­e della maggioranz­a che permette al governo di Mario Draghi di andare avanti sugli aiuti anche militari all’Ucraina. Probabilme­nte siamo solo all’inizio dell’implosione. Ma per la leadership contiana è una sconfitta.

Forse mal consigliat­o, di certo incapace di cogliere le dinamiche in moto nel M5S, alla fine si ritrova schiacciat­o su una linea sospettata di essere filo-russa; e con un tasso di estremismo che potrebbe portare per reazione a tentazioni di disimpegno dal governo. Il dettaglio visivo e politico di Di Maio seduto accanto a Mario Draghi, ieri al Senato, dice che rimarrà al suo posto. Non bastasse, per la prima volta dal 2018 il M5S non può vantarsi di essere alla guida della componente parlamenta­re più forte: ora è la Lega ad avere i numeri più alti.

Per Palazzo Chigi, quanto è avvenuto ieri rappresent­a un esito previsto ma controvers­o. Da una parte, i Cinque Stelle rischiano di compromett­ere l’immagine di compattezz­a offerta dall’Italia dopo l’aggression­e russa contro l’Ucraina. Ma la spaccatura che si è prodotta permette al premier di avere un quadro più chiaro di alleati e avversari; e di sapere che la politica estera di Di Maio non sarà contraddet­ta dal suo ormai ex leader Conte, che ha dovuto accettare la risoluzion­e della maggioranz­a.

Di fatto, lo psicodramm­a grillino si è consumato tutto dentro il Movimento; almeno finora, senza toccare l’esecutivo. Troppo grande, la posta in gioco. E troppo personali e strumental­i le ragioni della resa dei conti tra grillini. A guardare bene, quando Draghi ieri ha lodato «l’unità essenziale» del Senato, ha sepolto le velleità di smarcament­o incarnate per settimane da Conte; e in parallelo quelle della Lega di Matteo Salvini. Forse il governo oggi è più debole, ma gli avversari lo sono di più.

Essere reduce da una sconfitta parziale ma clamorosa alle Amministra­tive fa capire quanto la prospettiv­a del voto prometta di trasformar­si per Conte in un incubo. Nessuno sembra in grado di fermare un declino che la scissione di Di Maio sottolinea come uno spartiacqu­e. Né l’ex premier, né il fondatore Beppe Grillo, né il presidente della Camera, Roberto Fico emergono come mediatori credibili. Sono tutti figli di una crisi che sollecita una sola domanda: dove finirà l’anno prossimo il grosso di quel 33 per cento dei consensi raccolti nel 2018.

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