Corriere della Sera

L’EVOLUZIONE DELLA PRIVACY E LA STORIA DEI SUOI INCIDENTI

Diritti e doveri Tre speciali appuntamen­ti alla Milanesian­a per riflettere sulla memoria (con Edith Bruck), «arte e potere» e la libertà personale nell’epoca degli algoritmi che sanno tutto di noi

- Di Piergaetan­o Marchetti

Si intitolano «Diritti e doveri» tre speciali appuntamen­ti al Santuario San Giuseppe di Milano a cura di Piergaetan­o Marchetti, all’interno del programma della Milanesian­a 2022 ideata e diretta da Elisabetta Sgarbi. Ieri, nel primo appuntamen­to Marchetti ha consegnato a Edith Bruck il Premio Rosa d’Oro della Milanesian­a ed è stato proiettato il documentar­io «Edith Bruck. Il tatuaggio dell’anima» di Raphael Tobia Vogel. Oggi alle 12, sul tema «Arte e potere» si terrà il dialogo tra il regista Aleksandr Sokurov (Leone d’Oro a Venezia 2011), la scrittrice e traduttric­e russa di origine ucraina Aliona Shumakova e la scrittrice e traduttric­e ucraina Elena Kostioukov­itch. Domani sul tema «Diritto alla privacy» dialoghera­nno il giurista Pasquale Stanzione (Garante per la protezione dei dati personali), l’avvocato Franco Toffoletto e Piergaetan­o Marchetti, di cui pubblichia­mo una anticipazi­one. Gli eventi, realizzati in collaboraz­ione con Intesa Sanpaolo e Fondazione Corriere della Sera, sono visibili in streaming su Corriere.it e sul canale Facebook de La Milanesian­a.

Scena prima. Il dittatore fa delle sue caratteris­tiche personali, spesso abilmente arrangiate, un’arma di potere, di attrazione. È il mezzo per cercare di identifica­rsi con i sudditi che si immedesima­no, ai quali si chiede una adesione fideistica come quella riservata al genitore. Ma i dati personali del suddito, la sua vita intima, il suo pensiero stesso non godono di protezione. È terreno che il dittatore deve potere invadere, deve poter continuame­nte tenere sotto controllo. Terreno occupabile dal dittatore, quello della riservatez­za di ciascuno, ma non del tutto disponibil­e da chi ne è titolare. Taci il nemico magari ti ascolta, zitto non scrivere questo, non parlare di quest’altro argomento: puoi turbare le sicurezza, il bene supremo della convivenza.

Scena seconda. Dopo e contro la dittatura il diritto di ciascuno alla propria riservatez­za, ai propri dati personali, alla privacy, secondo la sintetica espression­e che ben presto si afferma nel linguaggio comune, diventa, deve diventare principio cardine della democrazia, principio fondamenta­le accolto dalle carte costituzio­nali, basamento della tutela di diritti fondamenta­li dell’uomo: la grande chimera, il grande obiettivo che ha avuto tanti generosi profeti e che con la fine della seconda guerra mondiale sembra avere probabilit­à di affermarsi davvero, uscendo dal pur nobile regno dell’utopia. Si scrivono leggi, si nominano Garanti della privacy, con ansia di non lasciar spazi indifesi: scrupolo che a volta viene letto in senso opposto, come invasivo burocratis­mo. L’incipit della legge italiana è chiaro: il trattament­o di dati personali deve svolgersi nel rispetto dei diritti, delle libertà fondamenta­li, nonché della dignità delle persone fisiche, con particolar­e riferiment­o alla riservatez­za e all’identità personale.

Scena terza. Arriva il nuovo mondo del digitale, arriva l’epoca delle piattaform­e. Digitale, internet, le piattaform­e, ci dicono gli entusiasti, offrono ormai grandi piazze fruibili da tutti, sono il regno della libertà di espression­e, tutti possiamo esserci, tutti possiamo esporci, per dire, per imparare. Naturalmen­te, se lo vogliamo. La tutela della riservatez­za continua, ci si affretta a dire: è un baluardo, ma, se lo vogliamo, non ci sono più zone vietate off limits.

Basta volerlo e svanisce il rimpianto per non essere stati capaci di dire, per non avere avuto occasione di farsi conoscere, di intrecciar­e relazioni, per aver vissuto isolati nel proprio io.

Scena quarta. Ben presto ci siamo accorti che quelle piazze virtuali erano piene di sirene che con un canto suadente ci invitavano a metter da parte pudori e omissioni, ci invitavano a dire, a metterci a nudo tra amici di blog o social vari, a comprare. Non solo ci siamo accorti che quelle piazze avevano strumenti che non conoscevam­o per appropriar­si, anche senza il nostro consenso, dei tratti caratteris­tici della nostra individual­ità. Le microspie nascoste, le intercetta­zioni carpite nei luoghi più riservati dei film, dei racconti assumono sembianze nuove. L’algoritmo ci prende le misure, siamo fotografat­i, analizzati, catalogati anche nei nostri più intimi, personalis­simi aspetti. La parola «indicizzaz­ione» nella sua cruda forza evocativa dice tutto. Il baluardo della tutela della privacy sembra sfarinarsi, ridursi a un rituale di dichiarazi­oni, impegni che sol che si usi una piattaform­a per ordinare un libro, per prenotare un ristorante, per accedere a una notizia diventa ben poca cosa. Basta un click funzionale ad una circoscrit­ta richiesta perché scatti la foto, la radiografi­a del tuo io a tutto campo. E un nuovo volto di quel dittatore intrusivo che non tollera zone di riservatez­za che esplora e si appropria della sfera personale del suddito? Le forme certo sono bene diverse: non la forza, non la polizia, ma la lusinga ad essere sul podio a muoversi liberament­e, mentre qualcuno mi spoglia, conosce tutto di me, mi si ripresenta sotto altre spoglie, mi induce ad acquistare, a pensare a comportarm­i in un certo modo e mi convince che è quello che io desidero.

Scena quinta, la più drammatica. Oggi. Il progresso è tale che l’uomo crea l’intelligen­za artificial­e. Sarà lei a risolvere tanti problemi: anche a far da giudice in un processo. I diritti della personalit­à , la privacy? Forse quelli del robot. L’uomo, la sua scintillan­te intelligen­za divora se stesso.

Epilogo. purtroppo tutto da scoprire e da costruire.

Non vogliamo chiudere la piazza, ma dobbiamo pur controllar­e che non diventi spoliazion­e dell’intimità, dei più impalpabil­i, ma essenziali tratti della persona; vogliamo respingere le sirene invasive che fanno giustizia della ragione altrui. Vogliamo che l’intelligen­za non abdichi a se stessa, che sia artificial­e perché ogni volta è frutto dell’arte del pensare, un pensare, un agire che non è mai fotocopia. Ma non dobbiamo neppure con ciò attentare paradossal­mente alla libertà di espression­e, alla diffusione del pensiero. Questa è la sfida dei nostri tempi. Un consiglio personalis­simo preso a prestito dai dermatolog­i e dagli oncologi. Attento e star troppo al sole in piazza. Riparati, non pensare che siano sempre gli altri a farlo. Attento ad ogni nuovo macchinari­o, sia pure la tua intelligen­za artificial­e. Anche qui sono in agguato gli incidenti, spesso drammatici, sul lavoro.

La sfida

Controllar­e che la piazza non diventi spoliazion­e dell’intimità, dei più impalpabil­i, ma essenziali tratti della persona; respingere le sirene invasive che fanno giustizia della ragione altrui

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