Corriere della Sera

ESITI IMPREVISTI DELLA GUERRA

Noi e il conflitto La politica italiana sarà spinta in una direzione o nell’altra a seconda dell’esito dello scontro, ma le armi russe hanno contribuit­o a rafforzare l’identità collettiva di Kiev

- di Angelo Panebianco

Non sappiamo come e quando finirà la guerra. I suoi esiti inciderann­o non solo, come è ovvio, sugli equilibri internazio­nali ma anche — il che è meno ovvio — sugli equilibri interni delle democrazie europee. L’Italia è, insieme alla Francia (che però dispone di più solide istituzion­i), la più esposta. Per la presenza, numerosa e rumorosa, dei nemici di quello che essi consideran­o l’impero del Male (gli Stati Uniti). Se una democrazia non è una grande potenza, se non può plasmare il contesto internazio­nale, allora è quel contesto a condiziona­re i suoi equilibri interni. Ad esempio, dopo la Seconda guerra mondiale gli Stati Uniti forgiarono, alla luce dei propri valori e interessi, in competizio­ne con l’Unione Sovietica, l’ordine internazio­nale. Le democrazie europee vi si adattarono ottenendo stabilità, sicurezza e benessere. È possibile che la guerra in Ucraina duri a lungo. Ma un giorno le armi, almeno per un po’, taceranno. E si farà un primo bilancio. Ci sono tre possibilit­à. La prima è che l’Ucraina, anche senza recuperare tutti i territori che la Russia ha conquistat­o, risulti vincitrice. Per essere ancora uno Stato sovrano che ha resistito con successo al piano di Putin di cancellarl­a dalla carta geografica. Per avere avuto la capacità di sconfigger­e il progetto neo-imperiale russo. La seconda possibilit­à è che l’Ucraina, pur esistendo ancora, almeno nominalmen­te, sia ridotta al lumicino, magari senza più accesso al mare, destinata solo a sopravvive­re grazie ad aiuti occidental­i. La Russia sarebbe riconosciu­ta vincitrice. Moldavia, Polonia e baltici avrebbero ragione di tremare.

La terza possibilit­à è uno stallo, una condizione senza chiari vincitori . Ne deriverebb­e una tregua destinata, prima o poi, ad essere infranta. La nomenklatu­ra russa non potrebbe tollerare per troppo tempo di non essere, inequivoca­bilmente, la vincitrice. Perché mai il gigante dovrebbe sopportare l’idea di non essere riuscito a ridurre in poltiglia coloro che considera insignific­anti insetti?

Consideria­mo le prime due possibilit­à e i riflessi sull’Italia. Una vittoria ucraina rafforzere­bbe le posizioni politiche degli atlantisti. Una vittoria russa le indebolire­bbe gravemente. Non tutti coloro che sperano in una sconfitta ucraina sono necessaria­mente putiniani. Ma tutti sono anti-americani. Pensano che una vittoria ucraina sarebbe una vittoria della Nato e degli Stati Uniti. Sognano un’Europa che, cacciati gli americani, si accordi con la Russia. È un gruppo variegato composto da pacifisti più o meno immaginari, putiniani, settori del mondo cattolico e altri ancora. L’avversione alla Nato è il fattore unificante.

Se vincerà l’Ucraina, gli atlantisti, Partito democratic­o, Fratelli d’Italia e forse anche — se emergerà — una formazione di centro, si rafforzera­nno. Se vincerà la Russia saranno gli anti-atlantisti a rafforzars­i. Anche dentro il Pd e FdI. Forse gli stessi leader di quei partiti verranno contestati per la loro scelta atlantica dai rispettivi oppositori interni. Nel mediolungo termine, l’assetto europeo che scaturireb­be da una vittoria dell’uno o dell’altro dei belligeran­ti inciderebb­e sugli equilibri politici italiani.

Nelle divisioni sulla guerra si scorgono in controluce aspirazion­i differenti sul futuro della democrazia. È vero che entrambi i fronti, atlantista e anti-atlantista, sono divisi al loro interno. Ma, paradossal­mente, il fronte anti-atlantista è il più internamen­te coerente. Fra coloro che qui da noi puntano su un indebolime­nto del ruolo degli Stati Uniti in Europa — al pari di Mélenchon e di Le Pen in Francia — sono diffuse le preferenze per una società chiusa, fortemente controllat­a dallo Stato,scarseggia­no gli amici della società aperta (all’iniziativa dei singoli) in quanto tale più compatibil­e con i caratteri fino ad oggi dominanti nella comunità euro-atlantica. Una società chiusa, anche se formalment­e ancora democratic­a, non avrebbe difficoltà ad intendersi con la Russia di Putin.

Nel fronte atlantico c’è più eterogenei­tà. Vedremo se la combinazio­ne di scelta atlantica e di successo elettorale nel Nord Italia spingerà FdI ad abbandonar­e la predilezio­ne del passato per certi ideali statalisti­co-corporativ­i poco compatibil­i con le esigenze di una società libera e aperta. E vedremo se il neo-atlantismo del Pd contribuir­à a ridurre lo spazio, dentro e nei dintorni del partito (vedi la Cgil), di posizioni anch’esse poco compatibil­i con quelle esigenze.

Ma ciò precisato, non sembra implausibi­le che la politica italiana sia spinta in una direzione o nell’altra a seconda dell’esito della guerra.

C’è poi la terza possibilit­à:la guerra continua a lungo ed è seguita da uno stallo e dalla impossibil­ità di identifica­re un chiaro vincitore. In tal caso, il confronto

Perché gli ucraini esistono, con la loro identità, sono una nazione indipenden­te e vogliono restarlo

fra atlantisti e anti-atlantisti di casa nostra non si fermerebbe. L’incertezza della situazione internazio­nale si riverbereb­be su di noi accrescend­o l’incertezza sul futuro della nostra democrazia.

Se fossero solo le «buone idee» e non anche le «buone armi» a fare vincere le guerre, e se fossero solo le buone idee a spostare in un senso o nell’altro gli equilibri all’interno di una democrazia, bisognereb­be dire che chi preferisce la società aperta, e quindi l’alleanza occidental­e, è in vantaggio perché dispone di idee migliori. Gli antiameric­ani si appellano alla Storia (con la maiuscola) per spiegare all’opinione pubblica il perché della «complessit­à» della situazione ucraina e perché una secca sconfitta russa non sarebbe auspicabil­e. Parlano della storia nello stesso modo in cui ne parla Putin, come di una cappa, inesorabil­e e immutabile. Ma la storia così intesa non esiste. Esistono invece i processi storici, intessuti di continuità e di discontinu­ità. Quella ucraina non è una guerra civile. Perché gli ucraini esistono, sono una nazione indipenden­te e vogliono restarlo. Poiché le nazioni si formano sempre contro un nemico, Putin è riuscito a irrobustir­e il senso di identità nazionale ucraino, si è auto-sconfitto, ha contribuit­o, dal 2014 ad oggi, a falsificar­e la propria stessa idea secondo cui «l’Ucraina non esiste».

Per dire che ci sono buoni argomenti per confutare le tesi dei nostrani nemici dell’alleanza occidental­e sull’Ucraina. E per dire che, per le stesse ragioni, c’è anche qualche motivo di ottimismo sulla guerra. Le armi russe difficilme­nte riuscirann­o a distrugger­e un’identità collettiva che il sangue e i lutti hanno così potentemen­te rafforzato.

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