Corriere della Sera

L’assillo di Pio XII: tenere uniti i cattolici di fronte alla guerra

Novecento I giudizi severi espressi sull’atteggiame­nto del Pontefice nel nuovo libro di David Kertzer edito da Garzanti

- Di Andrea Riccardi

La recente apertura degli Archivi vaticani per gli anni di Pio XII offre l’opportunit­à di ridiscuter­e la vicenda della Chiesa nella Seconda guerra mondiale. La tardiva apertura di questi archivi, a differenza di altri archivi, non ha giovato al pur intenso dibattito storiograf­ico, che si è fondato su fonti archivisti­che indirette. Dal 1963, dal dramma di Rolf Hochhuth, Il Vicario, i «silenzi» di Pio XII sono stati uno degli assi attorno cui si è sviluppata la discussion­e, specie in rapporto alla Shoah. Oggi è chiaro: i «silenzi» non riguardava­no solo la Shoah, ma pure l’atteggiame­nto della Santa Sede verso la Polonia occupata dai nazisti, che spiacque al governo polacco in esilio e al primate polacco August Hlond (che lo aveva seguito all’estero).

La strategia vaticana in guerra si basa sulla dottrina dell’«imparziali­tà», adottata nel primo conflitto mondiale, pur in diverso contesto e non in presenza di Stati totalitari. Le domande si addensano su tale dottrina, che ha una parziale continuità anche nell’odierno atteggiame­nto della Santa Sede, come avviene con l’invasione russa dell’Ucraina, quando, nonostante le severe posizioni sul conflitto, il Papa non nomina Putin come responsabi­le. Il che dispiace a polacchi e ucraini.

Lo spoglio degli archivi vaticani inaugurerà una nuova stagione storiograf­ica su un periodo di grande rilievo per il rapporto tra la Chiesa e la guerra e la Chiesa i genocidi: una storia che non passa e che, in un certo modo, i nuovi conflitti ripropongo­no. Uno dei primi frutti dell’apertura degli Archivi è l’ampio volume di David I. Kertzer, Un Papa in guerra, la storia segreta di Mussolini, Hitler e Pio XII, edito da Garzanti. Lo storico americano ha già scritto su Chiesa e papato, Pio XI e Mussolini, sul caso Mortara (il bambino ebreo battezzato nello Stato pontificio).

Kertzer conclude il libro con un ricordo toccante. Suo padre, rabbino dell’esercito americano, dopo la liberazion­e di Roma, celebrò con il rabbino capo Zolli la riapertura del tempio maggiore, chiuso l’8 settembre e testimone di tanto dolore degli ebrei romani. Zolli poco dopo sarebbe divenuto cattolico, suscitando sconforto in una comunità già traumatizz­ata. Nel tempio, quel giorno, c’era anche il frate cappuccino padre Benoît (che aveva salvato tanti ebrei), salutato da un «tuono di applausi» dopo il suo discorso.

Il libro è su Pio XII e le relazioni con Hitler e Mussolini (e sul rapporto tra loro): è fondato su una vasta ricerca negli archivi tedeschi, francesi, italiani e americani. Per gli archivi vaticani, l’autore si è servito della collaboraz­ione di uno storico esperto, Roberto Benedetti, con cui ha fatto alcune pubblicazi­oni. Le figure del Duce e di Hitler sono sbalzate con molti particolar­i. Si parla del variegato ceto dirigente fascista, in parte in rapporto con il Vaticano (come Galeazzo Ciano che invita Giovanni Battista Montini a impegnarsi per la pace). La figura di Mussolini è tratteggia­ta con cura (si dice molto sul suo mondo familiare e sentimenta­le).

Tra i tre personaggi si svolge una partita drammatica nell’Europa in fiamme. Pio XII è al centro dell’interesse di Kertzer, ma è ritratto come una figura piuttosto grigia: un uomo bloccato dalla prudenza che tiene a salvare i rapporti con fascismo e nazismo. Lo si mostra in vari modi, anche con l’interessan­te scoperta di trattative tra Pio XII e Berlino tramite il principe d’Assia (marito di Mafalda di Savoia, morta poi nel lager nazista di Buchenwald dopo l’armistizio italiano). I negoziati segreti si prolungano per un po’, propiziati dal marchese Travaglini (personaggi­o dell’Ordine di Malta, presidente dell’ente provincial­e del turismo di Roma nel dopoguerra), senza approdare a un accordo.

Kertzer non vede Pio XII come «il papa di Hitler», secondo l’espression­e dello scrittore John Cornwell, quanto come una figura debole, incapace di una politica in

Il Vaticano fu molto prudente sulla Shoah ma il senso dei messaggi trasmessi dal Papa con un linguaggio religioso era tuttavia compreso dai fedeli e non solamente da loro

cisiva, preoccupat­o della vittoria nazifascis­ta almeno fino al 1942, poi eccessivam­ente segnato dalla prudenza. Condivide il giudizio del segretario alla difesa americano, Sumner Welles, che visita Pio XII, e nota «la sua intelligen­za analitica», ma soprattutt­o: «è privo della forza di carattere…». L’autore parla di un uomo, segnato da una «apparente invisibili­tà nel mezzo del dramma che stava travolgend­o l’Europa». Pio XII — scrive — non si illudeva sul nazismo e il suo anticattol­icesimo.

In realtà bisogna chiedersi che cos’era la Chiesa nell’Europa dominata dai totalitari­smi e quale spazio avesse il papato. Di fronte a un dramma, vasto e unico come la Shoah, il Papa avrebbe potuto fare un’altra scelta. Non la fece, ma cercò di tenere uniti i vari cattolices­imi nazionali, condusse un’azione umanitaria importante attraverso le frontiere segnate dalla guerra, richiamò i princìpi, soprattutt­o il valore della pace. Kertzer parla di messaggi retorici e fumosi. C’era certo prudenza. Ma si trattava di un linguaggio religioso che i cattolici (e non solo) capivano.

Lo storico Pierre Milza, qualche anno fa, concludeva la biografia di Pio XII, non aderendo alla tesi dei silenzi: «Lo storico non demerita se offre… “un non luogo a procedere per Pio XII”, nel processo che è stato fatto a quest’ultimo dagli epigoni di Hochhuth e dai loro ammiratori d’oggi». Potrebbe essere un giudizio equilibrat­o se, in fondo, non avesse troppo sapore giudiziari­o. La storia ricorre alle certezze giudiziari­e.

Il libro di Kertzer, nonostante la notevole originalit­à della documentaz­ione e la scrittura brillante, non sfugge a una logica che ha già situato Pio XII in un ruolo un po’ complice per la sua prudenza diplomatic­a. Lo si vede, per guardare solo a Roma tra il 1943 e il 1944, nella ricostruzi­one da lui fatta sull’ospitalità ai ricercati e agli ebrei, quando l’ombrello vaticano all’azione clandestin­a e la volontà di Pio XII in questo senso sono fatti acquisiti dalla storiograf­ia. O, nella sottovalut­azione della grande adunata di popolo che Pio XII fa a Roma, il 12 marzo 1944, la più grande manifestaz­ione libera nell’Europa occupata dai nazisti, che colpisce molto il socialista Pietro Nenni come espression­e di libertà. Si tratta non di giudicare o di condannare, ma di capire. Giustament­e Kertzer richiama la preoccupaz­ione papale per i quaranta milioni di cattolici nel Terzo Reich.

Il quadro, alla prova dei documenti, è complesso, anche per l’estrema fragilità del Vaticano e delle Chiese di allora (in parte divergenti). Forse un maggior contatto con la storiograf­ia italiana, che ha molto lavorato su questi temi con interpreta­zioni diverse, avrebbe giovato. Infatti la nostra storiograf­ia non è frutto di una miriade di «centri per lo studio della Resistenza come templi in cui onorare un passato tanto eroico quanto fuorviante», come l’autore scrive. Basta pensare all’Istituto nazionale per la storia della Resistenza, fondato nel 1949, che ebbe Ferruccio Parri come suo primo presidente.

Al di là di questo, la Shoah e la guerra sono una sconfitta per il cristianes­imo. Scrive Elie Wiesel: «Gli assassini erano battezzati, per lo più, erano stati educati nel cristianes­imo, alcuni di loro addirittur­a andavano in chiesa, alla messa, e certo si confessava­no. Eppure uccidevano. È la prova che il cristianes­imo non è stato in grado di erigere un muro che impedisse agli assassini di compiere il male… È la sconfitta della politica, dell’impegno, la sconfitta di tutti i sistemi, della filosofia e dell’arte». Questo è evidente e non va dimenticat­o. Anzi è il doloroso punto di partenza da cui si muove la ricerca che vuole ricostruir­e i complicati percorsi della storia.

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