Napoli mostra i capolavori ritrovati «Restituzioni» alle Gallerie d’Italia
Arte Fino al 25 settembre al museo appena inaugurato le opere restaurate da Banca Intesa e ministero della Cultura
«Restituzioni. La Fragilità e la Forza» è la mostra inaugurale del nuovo museo delle Gallerie d’Italia di Napoli aperto nelle scorse settimane. La mostra raccoglie 231 opere restaurate tra il 2019 e il 2021 nell’ambito del programma biennale di salvaguardia del patrimonio artistico nazionale che Banca Intesa conduce da trent’anni in collaborazione con il ministero della Cultura. Questa XIX edizione di «Restituzioni», che apre oggi ed è visitabile fino al 25 settembre, copre un arco cronologico di 26 secoli e fornisce un ampio panorama del patrimonio artistico italiano. Al programma, curato da massimi specialisti come Carlo Bertelli, Giorgio Bonsanti e Carla Di Francesco, hanno collaborato 54 enti di tutela (Soprintendenze, Direzioni Regionali e Musei autonomi) per opere collocate in venti regioni appartenenti a 81 proprietari tra musei pubblici e diocesani, luoghi di culto e siti archeologici. Agli interventi di conservazione hanno lavorato 74 laboratori di restauro tra i quali l’Opificio delle Pietre Dure di Firenze, l’Istituto Centrale per il Restauro di Roma e il Centro Conservazione e Restauro La Venaria Reale di Torino. I pezzi restaurati sono tutti esposti ad eccezione della tela di 40 metri quadri di Paolo Veronese, che resta visibile presso il Santuario di Monte Berico di Vicenza. Fuori Italia sono stati restaurati un capolavoro di Vittore Carpaccio dal Museo JacquemartAndré di Parigi e un affresco pompeiano danneggiato dall’incendio che, nel 2018, ha dePinacoteca vastato il Museu Nacional di Rio de Janeiro.
Impossibile soffermarsi su tutto, diamo risalto a qualche capolavoro e alle opere di area lombarda. Tra i capolavori annoveriamo senz’altro il San Girolamo penitente e la Visita dei tre angeli ad Abramo di Antonello da Messina dalla Pinacoteca Civica di Reggio Calabria; di Giovanni Bellini il Trittico di San Lorenzo (1461-62 circa) delle Gallerie dell’Accademia di Venezia e La Trasfigurazione del Museo di Capodimonte, da cui giunge anche la Madonna con il Bambino, san Giovannino e santa Elisabetta di Agnolo Bronzino.
In Lombardia il programma «Restituzioni» ha interessato, anzitutto, cinque preziosi manufatti utilizzati per l’incoronazione di Napoleone a re d’Italia avvenuta nel 1805 nel Duomo di Milano: il mantello, la corona, la mano di giustizia, lo scettro e il bastone dell’incoronazione. Napoleone seguì le scelte iconografiche di questi manufatti di forte valenza politica, che avevano come modello le insegne di Carlomagno. Poi, segnalerei due pale. La prima è il polittico, composto da dieci scomparti posizionati in tre ordini, di Cima da Conegliano realizzato intorno al 1513 che decorava, in origine, l’altare maggiore della chiesa di Sant’Anna a Capodistria (ora a Mantova, Museo di Palazzo Ducale, Castello di San Giorgio). L’altra è la Pala detta di San Domenico di Girolamo Romanino del 1545-1548 (Brescia,
I lavori esposti coprono un arco cronologico di 26 secoli, coinvolti 74 laboratori di restauro
Tosio Martinengo), un’opera dall’intervento complicato per i troppi restauri subiti nel corso del ’900 nella parte relativa all’Incoronazione della Vergine: è chiaro che l’azzurrite, con il tempo, tenda ad ingrigirsi, ma non necessariamente vanno esaltati gli originari contrasti cromatici.
Altre quattro opere sono di casa a Milano, anche se non sempre viste. È stato risistemato (presentava strappi nella tela) Dinamismo di un corpo realizzato da Umberto Boccioni nel 1913 ed entrato nelle raccolte artistiche del Comune di Milano nel 1934. Restaurato il fragile Presepe detto del Gernetto, 1765-1780 circa, di Francesco Londonio, acquerello e tempera su cartoncino diviso in cinque scene: di casa al Museo Diocesano Carlo Maria Martini, l’opera fu commissionata dall’aristocratico Giacomo Mellerio senior per Villa Gernetto (attualmente di proprietà di Silvio Berlusconi). L’opera di Édouard Manet Ritratto di Michel Arnaud a cavallo, che nel 1937 l’accorto collezionista Carlo Grassi volle assicurare alla sua collezione d’arte (oggi alla Galleria d’Arte Moderna), è un dipinto enigmatico, non finito, di grandi dimensioni: il restauro ha avuto tra gli obiettivi quello di chiarire gli elementi della composizione facendo seguire scelte restitutive in una prospettiva in cui, comunque, il rispetto materiale del manufatto va privilegiato su ogni interpretazione. Lo studio preparatorio per La battaglia di Costantino realizzato a carboncino da Giulio Romano intorno al 1520, anno di morte di Raffaello, servì per la Sala di Costantino commissionata all’urbinate da Leone X. Rispetto al cartone raffaellesco della Battaglia conservato al Louvre, Giulio Romano reinterpreta radicalmente le figure di un’inedita naturalistica robustezza delle fisionomie e nella tensione compositiva.