Tutta la polifonia di Joyce nei frammenti di coscienza
Fluidofiume è il titolo dello spettacolo, con la f iniziale minuscola, al pari della prima parola di Finnegans Wake, l’opera che James Joyce pubblicò nel 1937: «fluidofiume, passato Eva e Adamo, da spiaggia sinuosa a baia biancheggiante, ci conduce con più commodus vicus di ricircolo novo a Howth Castle Edintorni».
Nessuna di queste parole della prima frase del libro è immune da ulteriori pregnanze di significato: Howth è il nome della collina dove Leopold e Molly Bloom fecero l’amore per la prima volta; vicus è l’annuncio che il libro sarà in quattro parti, come i cicli della storia umana descritti da Gianbattista Vico; le iniziali delle ultime tre parole sono le stesse di Harold Chimpden Earwicker, l’oste la cui veglia di tutti i Finnegan ivi presenti è in corso — ognuno all’altro accomunato da un medesimo sogno di un sogno: il romanzo che a piccoli brani ascoltiamo nello spettacolo di Enrico Frattaroli, in scena al Palladium il 16 giugno: il giorno dell’Ulisse e, quest’anno, il giorno in cui ovunque nel mondo si è celebrato il centenario della nascita di quel romanzo capitale — non meno, naturalmente, del Ritratto dell’artista da giovane, di Finnegans Wake, e dell’esile Giacomo Joyce che in questa versione dello spettacolo appare per la prima volta. Parlo di «prima volta» poiché Frattaroli lavorò intorno a Joyce nel 1984 con un Mr. Bloom e con un Mr. Bloom/ ALP, poi diventati fluidofiume nel 1988 a Venezia e (in una nuova versione) nel 1989 a Roma. Sono passati trentatré anni e dubito che ovunque Frattaroli abbia portato il suo spettacolo, a Parigi, a Dublino, a Melbourne, a New York, al Cairo, non lo abbia ogni volta trasformato, arricchito.
Personalmente lo vedo (credo) per la terza volta e me ne si chiarisce meglio la sua natura unica nella storia del teatro italiano: è anzi questa stessa natura eccezionale che a parte il sostegno del Florian Metateatro, del Festival di Andria e della James Joyce Italian Foundation, tiene adeguatamente lontano il lavoro di Frattaroli dai normali teatri italiani. In questa versione, ho detto, compare Giacomo Joyce, che l’editore Guanda pubblicò nel 1983 con la riproduzione del manoscritto di Joyce e l’introduzione di Richard
Ellman. È un testo brevissimo, scritto nel 1914 (ricordo-sogno di un amore triestino) e del quale ascoltiamo alcuni «nodi epifanici», come dice lo stesso regista nel sottotitolo: «Non si sa di chi si masticano i pensieri» — come essi masticati risuonano, ovvero brani di un vero e proprio concerto di struggente, dolorosa musicalità chiunque dica, racconti, canti (il soprano è Patrizia Polia e al piano c’è Diego Procoli). Anna Livia Plurabelle (Carlotta Caimi) scivola verso il sonno, Molly e Leopold (Mirella Mazzeranghi e Franco Mazzi) rievocano il loro primo amplesso, Stephen (Galliano Mariani) non può sottrarsi ai rimorsi per la trascurata morte della madre.
È il flusso di coscienza del fiume joyciano mentre con i suoi sedimenti si avvicina al suo immortale delta.
fluidofiume Di Enrico Frattaroli ●●●●●●●●●● 9