Corriere della Sera

«Bertolucci mi ha scelta dopo avermi vista in farmacia Scappai dalla casa di Bene»

L’attrice: mi presentai al Piccolo dopo la morte di mio padre

- di Stefania Ulivi

Giorgio Strehler e Franco Battiato. Carmelo Bene e Checco Zalone. Zubin Mehta e Antonio Albanese, i fratelli Bertolucci e Camilleri, Irène Némirovsky e Roberta Torre. Se si facesse una versione italiana del gioco dei sei gradi di separazion­e applicato a Kevin Bacon, la prescelta sarebbe Sonia Bergamasco. Non ce n’è un’altra come lei: diploma da pianista al Conservato­rio di Milano e quello alla Scuola del Piccolo, partenza con il botto, in compagnia con Strehler, quindi una sequela di incontri unici fino alle sue regie di teatro e anche d’opera. Un filo rosso che sa unire gli opposti, a mettere alla stessa tavola i diversi. Un talento fuori dal comune nell’aprire nuove porte. Ma anche una determinaz­ione a chiuderle, all’occorrenza. Segni di riconoscim­ento: criniera di capelli biondo miele e risata contagiosa. Milanese, classe 1966, sposata con il collega Fabrizio Gifuni con cui ha avuto due figlie, Valeria e Maria, ha appena inaugurato un nuovo capitolo, la poesia, con Il quaderno, in uscita con La Nave di Teseo in contempora­nea con lo spettacolo in scena stasera alla Milanesian­a.

«Ho seppellito mio padre che avevo diciott’anni. Per essere precisi, / “issato” in quarta fila in un cimitero di campagna (il parterre risultava troppo caro). / Tempi duri, adolescenz­a. Miserabile bosco di spine». Si è decisa a aprire il suo diario poetico, cosa l’ha spinta?

«Forse è un momento della vita in cui sono pronta a farlo. Ho scritto fin da ragazza, al momento è la cosa che preferisco fare, una strada che voglio seguire sempre di più. La scrittura è prima di tutto è possibilit­à di guardarmi allo specchio. In copertina ho messo una mia foto a 3 anni a Natale. Riguardand­o quella bambina mi ritrovo anche con tutte le ferite, le diseguagli­anze, gli stop, le difficoltà. Sono contenta che una parte di quella bambina sia rimasta intatta». Com’era da piccola?

«Volevo tanto diventare grande, non stare più lì. La musica era nell’aria a casa anche se in verità solo una zia, Zia Margherita, la praticava. Era una cantante molto promettent­e che non ha proseguito, si è dedicata alla famiglia. Mia nonna amava l’opera, suonava pianoforte sbagliando tutto, mio nonno paterno canticchia­va arie d’opera ma nessuno si era inoltrato. Mia madre ci teneva che noi fratelli imparassim­o a suonare uno strumento e mi ha avviato al pianoforte». Ricordi degli anni del Conservato­rio?

«Ci sono entrata a dieci anni, è stato impegnativ­o. Per me fu durissimo per la chiusura monastica che ho percepito, che ho un po’ subito. Il legame con la musica l’ho recuperato dopo, si è stampato dentro come dna».

Perché anche la scuola del Piccolo Teatro? «È stata una scelta impulsiva, a 18 anni, dopo la morte di mio padre. Aveva 48 anni, giovanissi­mo, è successo all’improvviso. Per me è stato grosso rimescolam­ento. Ho sentito la necessità di capire cosa volevo e potevo fare, dovevo chiarirmi le idee presto. Mi ha attratto il bando della scuola di teatro. Lo feci con incoscienz­a sicurament­e, ma soprattutt­o impreparaz­ione. Credo mi abbiano preso per la musicalità del mio modo di affrontare la prova, anzi le prove, tre nel corso dell’anno. Forse li ha colpiti una sorta di solfeggio nel mio modo di recitare».

Sua madre come la prese?

«Vivevo già da sola, è stata una scelta mia, l’ha saputo a cose fatte».

E dopo un po’ si è trovata in scena con Strehler.

«Dalla scuola alla compagnia. Prima il Faust e poi l’Arlecchino. Ricordi preziosi. Giorgio aveva un entusiasmo leonino trascinant­e e un po’ terrorizza­nte. E su tutto, una passione contagiosa». E un bell’imprinting nel teatro.

«Ne ho fatto tanto. Con Glauco Mauri, con Massimo Castri, cinque anni di spettacoli».

Tra cui «La trilogia della villeggiat­ura». Nella stessa compagnia del suo futuro marito.

«Con Fabrizio ci siamo conosciuti lavorando. Altri hanno unificato i testi, Massimo invece volle fare tre spettacoli diversi: Le smanie, Le avventure e Il ritorno. Con Castri, tre anni di tournée insieme. L’avevo già incontrato: ero andata a vederlo recitare nell’Elettra con un mio amico. Poi ci siamo trovati per Goldoni. Due anni mezzo di repliche. Siamo andati a vivere insieme». Milano o Roma?

«A Roma, rione Monti. Era il 1997, un romano non avrebbe mai compreso la Milano di allora. Ora è più allegra oltre che più bella. Ci torno sempre con grande gioia. Quella casa di Monti è legata a altri incontri speciali. Uno in particolar­e, nella farmacia del quartiere».

Non con un dottore, immagino.

«Con Giuseppe Bertolucci, con cui ho girato L’amore probabilme­nte, il mio primo film, dopo il corto D’estate con Silvio Soldini. Eravamo vicini di casa ma non lo sapevamo. Ci siamo incontrati in farmacia, io mi ero tagliata i capelli cortissimi per il Pinocchio di Carmelo Bene. Lui è tornato a casa e ha detto a sua moglie: ho visto la protagonis­ta del film. Io ho detto a Fabrizio: ho incontrato uno in farmacia che mi fissava. Poi siamo diventati grandi amici».

E con Carmelo Bene come andò?

«Un nuovo inizio. Lui lavorava con Elisabetta Pozzi alla riedizione del suo bellissimo Adelchi, cercava attrici giovani. Una parte di me desiderava conoscerlo e lavorare con lui ma, vista la personalit­à debordante, esitavo. Quando l’ho conosciuto ho trovato una persona di un’ironia stellare: con lui ti potevi cappottare dalle risate. Molte attrici si presentaro­no ai provini. Ti chiedeva di salire sul palco e recitare versi al microfono e lui dal suo microfono tuonava, si divertiva un sacco. Io non mi decidevo. Dopo qualche giorno mi ha scovato: tu non ti esibisci? L’ho fatto e mi ha proposto di lavorare con lui».

A cosa?

«Un periodo di studio pagato che poteva dare la possibilit­à di uno spettacolo, ancora non si sapeva quale. Non ho avuto dubbi: una specie di sabatico fuori da ogni norma. Era il Pinocchio, l’ultima sua edizione. Una fatica immane: un’estate torrida, prove al teatrino dell’Angelo, io come fatina avevo un costume in velluto pesantissi­mo con imbottitur­e che mi facessero sembrare una bambola e una maschera fissa su metà viso e su cui dovevo mettere altre maschere. Mi era tagliata i capelli apposta. Lo portammo all’Argentina, in scena solo noi».

Poi?

«Finì di colpo. Andai nella sua casa di Otranto a studiare per La figlia di Iorio di D’Annunzio. Una sera ci fu una rottura, non ci intendevam­o più su nulla. Ho mollato tutto e sono partita all’alba. Ci siamo rivisti per la ripresa di Pinocchio. Conservo di lui un ricordo luminoso».

Anche con Battiato un incontro non conforme.

«Ci aveva visto ne La meglio gioventù di Marco Tullio Giordana, ci chiamò per il suo Musikanten, il suo film su Beethoven. Con Fabrizio abbiamo accettato questo viaggio fuori da ogni strada usuale. Ci fece una proiezione a casa sua a Milo, voleva portarlo a Venezia, io gli dissi è meglio di no, non sarebbe capito, lui non se ne preoccupò».

Fu fischiato.

«Fu una catastrofe annunciata, era un oggetto che non era riconducib­ile a quel contesto. Ma Franco seguiva suoi percorsi. Con lui ho fatto anche un programma tv Bitte, keine reclame. Un uomo generosiss­imo, era semplice stare con lui. Era in movimento, in cammino ma con leggerezza senza pesare su nessuno, senza giudicare. Desiderio puro».

A vent’anni di distanza «La meglio gioventù» resta un punto fermo. Cosa fu per voi?

«Un punto di svolta che ci ha unito. Eravamo un gruppo di attori giovani, il nucleo centrale si conosceva, io, Fabrizio, Luigi Lo Cascio, Alessio Boni. E Maya Sansa, Jasmine Trinca, Claudio Gioè, Valentina Carnelutti, oltre a Adriana Asti. Un’opera innovativa, fatta per la tv e lanciata al cinema. Sono felice abbia una vita così lunga e importante».

Non ha mai snobbato la tv.

«Anzi, ne ho fatta tanta. In modo diversi. Dal De Gasperi di Liliana Cavani a Tutti pazzi per amore di Riccardo Milani, scritto da Ivan Cotroneo, un tuffo nella leggerezza».

E Montalbano. Livia per 5 anni, poi lasciata al telefono. Il pubblico si è arrabbiato.

«Sinceramen­te pure io: ma che si finisce così? Però l’aveva scritto Camilleri...».

Hanno fatto il remake francese di «Quo vado?» Come la convinsero Nunziate e Medici?

«Un invito a nozze. Per me un tuffo nel vuoto. Ma anche per loro: prendere me per una commedia è stata una bella intuizione. Come di tradurre al femminile il personaggi­o classico del dirigente maschio. Ho amato la dottoressa Sironi, ho cercato di difenderla soffrendo, alla fine distrutta da quel disgraziat­o di Checco Zalone».

Ci ha preso gusto con la commedia, con Luce di «Un gatto in tangenzial­e».

«Mi sta molto simpatica, così persa nel suo vagolare. Le figlie ne sono entusiaste, chiedono che anche Fabrizio si decida a lanciarsi in commedia».

A un certo punto in teatro ha iniziato con le sue regie: «Il ballo», «L’uomo seme», etc.

«Testi che non nascono dal teatro. Ancora l’ossessione per la lingua che seguo a modo mio».

Per lei dopo l’estate c’è la ripresa di «Chi ha paura di Virginia Woolf?» di Antonio Latella.

«Un lavoro amatissimo, desideravo da tanto recitare con Antonio e con Vinicio Marchioni. Generosità e brillantez­za rare. Una grande squadra, una gioia stare insieme. Non è scontato».

A casa si parlerà spesso di lavoro.

«È parte della nostra vita, fin dall’inizio. Come stacchiamo? Con Fabrizio giochiamo a scacchi. Ci giocavamo quando ci siamo conosciuti, nelle nostre vacanze in Grecia, mi ricordo pomeriggi in cui perdevo sempre. Abbiamo ripreso e finalmente ho cominciato a vincere anche io. Adesso c’è un buon equilibrio, mi piace molto».

Montalbano In Montalbano sono stata Livia per 5 anni. Poi sono stata lasciata al telefono e mi sono arrabbiata pure io, non solo il pubblico. Però l’aveva scritto Camilleri

Fabrizio Gifuni

Per staccare, con mio marito giochiamo a scacchi. Mi ricordo pomeriggi in cui perdevo sempre. Abbiamo ripreso e finalmente ho iniziato a vincere anch’io

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Sonia Bergamasco è nata a Milano il 16 gennaio 1966. Si è diplomata in pianoforte al Conservato­rio Giuseppe Verdi e in recitazion­e alla scuola del Piccolo Teatro. È sposata con il collega Fabrizio Gifuni, conosciuto nella compagnia di Massimo Castri. La coppia vive a Roma e ha due figlie adolescent­i, Valeria e Maria
(Ansa) Chi è Sonia Bergamasco è nata a Milano il 16 gennaio 1966. Si è diplomata in pianoforte al Conservato­rio Giuseppe Verdi e in recitazion­e alla scuola del Piccolo Teatro. È sposata con il collega Fabrizio Gifuni, conosciuto nella compagnia di Massimo Castri. La coppia vive a Roma e ha due figlie adolescent­i, Valeria e Maria
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 ?? ?? Coppia Sonia Bergamasco con il marito Fabrizio Gifuni (Benvegnù)
Coppia Sonia Bergamasco con il marito Fabrizio Gifuni (Benvegnù)

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