Corriere della Sera

COME LA FINLANDIA HA FINITO PER UCRAINIZZA­RSI

- di Goffredo Buccini

La storia ci propone un beffardo e drammatico rovesciame­nto di senso nella parola «finlandizz­azione»: evocata perfino da Macron, come sbocco possibile della crisi ucraina, qualche settimana prima dell’aggression­e di Putin contro Kiev. Fino al fatidico 24 febbraio, questo neologismo, comparso dal 1988 nel dizionario Zanichelli, riassumeva una scelta politica di lunga data della Finlandia, indicando la «neutralità condiziona­ta di un Paese nella quale è sottintesa la possibilit­à di una soggezione nei confronti di una grande potenza, in particolar­e dell’Unione Sovietica». In parole semplici, coi suoi 1.340 chilometri di confine in comune con l’Orso Russo, la piccola repubblica nordeurope­a aveva deciso in piena Guerra fredda di rifiutare il Piano Marshall e non aderire alla Nato in cambio di uno status di indipenden­za neutrale, assai conforme ai desideri del più potente vicino. La diplomazia mondiale azzardava dunque che un analogo percorso avrebbe risparmiat­o all’Ucraina il bagno di sangue in cui poi l’ha scaraventa­ta Putin. Il dittatore russo è però riuscito in uno straordina­rio autogol strategico: anziché finlandizz­are l’Ucraina ha… ucrainizza­to la Finlandia. Subito dopo l’invasione, infatti, i finlandesi, assieme agli svedesi, hanno chiesto di mettersi sotto l’ombrello della Nato. E l’altro giorno hanno fatto di più, proclamand­osi «pronti a resistere» come «un boccone duro da masticare per la Russia»: «Siamo motivati e abbiamo un notevole arsenale». Non si tratta di parole al vento. La Finlandia ha un esercito di 290 mila uomini (per capirci, centomila in più di quelli usati da Putin nella prima ondata contro l’Ucraina, quasi il triplo del nostro con un decimo della nostra popolazion­e). Addestrati sin dall’infanzia a diffidare dei loro aggressivi vicini, il 76% dei finlandesi s’è pronunciat­o per diventare il «fianco est della Nato» (parole della premier Sanna Marin). Putin, temendo la Nato, ha finito per rafforzarl­a e avvicinarl­a ai suoi confini. Un bel saggio di Foreign Affairs spiega questo mese perché le nazioni pessimiste sono pericolose: se il pessimismo è un virus che si autoavvera, il dittatore di Mosca è il paziente zero del Ventunesim­o secolo.

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