Corriere della Sera

Ma la violenza non è un videogioco

- Di Massimo Gaggi

Tutti legittimi, anche se a volte abusati, e spesso utili per formare nuove profession­alità, i videogames stanno diventando, negli Usa ma non solo, anche un canale di reclutamen­to e organizzaz­ione di gruppi politici estremisti, di suprematis­ti bianchi e, in qualche caso, di terroristi «domestici». Il mondo dei giochi digitali ormai vale circa 200 miliardi di dollari, più del cinema e dell’intratteni­mento sportivo messi insieme: un grande peso economico e tecnologic­o. Molti ipotizzano che diventerà l’essenziale infrastrut­tura di base del futuro metaverso (la realtà virtuale nella quale, a quanto pare, prima o poi ci immergerem­o). Chi opera nel settore reagisce col silenzio o l’indignazio­ne ad analisi di questo tipo, ma ormai le ricerche nel campo sono molteplici e attendibil­i. L’allarme è stato lanciato anche dal Centro per il terrorismo, l’estremismo e l’antiterror­ismo e si basa su una consideraz­ione perfino ovvia: man mano che i videogioch­i diventano un fenomeno sociale che si diffonde sulle reti, gli estremisti che lanciano messaggi d’odio sui social network sfruttano queste piattaform­e per sedurre e organizzar­e. I videogioch­i basati sugli scenari più violenti offrono un’occasione in più per diffondere messaggi brutali e costruire rapporti con potenziali nuove reclute.

Certo, si tratta di un numero limitato di casi ma la cosa è comunque grave: dalla strage di Christchur­ch in Nuova Zelanda a quella recente del supermerca­to di Buffalo, passando per El Paso, la sinagoga di Pittsburgh, e Halle in Germania, questi massacri vengono concepiti sempre più spesso in una logica televisiva, fino a somigliare a videogioch­i. E in Gran Bretagna 18 dei 20 ragazzi arrestati l’anno scorso per attività terroriste di estrema destra erano minorenni, compresi giovani di 13 e 15 anni che si scambiavan­o messaggi su come costruire bombe. L’antiterror­ismo nota che oggi l’estremismo si diffonde nei videogioch­i come alcuni anni fa si diffondeva nelle piattaform­e delle reti sociali a partire da Facebook. L’unica differenza è che le reti, da Google a Twitter, alla stessa Facebook, dopo aver ignorato o sottovalut­ato per anni il fenomeno, si sono dotate di grossi team antiterror­ismo. Le società dei videogame, invece, non sono attrezzate: non mancano di certo loro i mezzi economici, ma per ora, con poche eccezioni, la tendenza è a ignorare o sottovalut­are.

 ?? ??

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy