In Italia «Mass» di Bernstein «Musical che lo fece soffrire»
La figlia del compositore: un caso politico, troppo pacifista per l’era Nixon
ROMA Mass di Leonard Bernstein divenne un caso politico, ed ebbe pessime recensioni. Una messa che non è una messa ma un’opera, un musical, un «happening». Nel 1971 in America divenne un caso politico, e fu sovrastato da cattive recensioni. Ne parliamo con Nina Bernstein, la figlia minore del grande direttore e compositore. Sarà a Roma per la prima italiana in forma scenica di un grande evento, il 1° luglio a Caracalla con l’Orchestra dell’Opera di Roma diretta da Diego Matheuz e la regia di Damiano Michieletto.
«Io nel ’71 avevo 9 anni. Fu un momento molto doloroso per mio padre. Non c’è pezzo di musica più di quello che dia il senso del suo umanitarismo; pensava che il mondo potesse migliorare con la musica. Era sotto controllo dalle autorità, esisteva il file contro di lui di 800 pagine redatto dall’FBI. Prima, negli Anni ’50, gli avevano perfino ritirato il passaporto. Fu costretto a firmare una carta in cui diceva di non essere comunista».
Era l’America di Nixon e del Vietnam. L’establishment lesse Mass come pezzo pacifista, antipatriottico. «L’FBI, per dirvi l’assurdità, si convinse che le parole Dona Nobis Pacem contenessero un codice cifrato... Jackie Kennedy voleva affidare a papà la gestione artistica del nuovo Centro delle arti a Washington D.C. intitolato a suo marito, J.F.K. assassinato otto anni prima. Papà rispose che avrebbe voluto piuttosto scrivere un pezzo. E così andò».
Fu stroncato dai giornali libera a lui vicini, come il New York Times. «Per lui fu uno shock. Era furioso e depresso. Non gli perdonarono l’eclettismo, dissero che era ossessionato dal mito della gioventù. Per me, è un capolavoro. Dopo si dedicò alla direzione d’orchestra e non scrisse più musica per un bel po’».
È stato difficile essere la figlia di Leonard Bernstein? «Sì, ma è stato un privilegio. Quando i miei fratelli si sono fatti le loro vite, sono rimasta da sola in casa con papà. Io andavo al liceo, ci incontravamo la sera. Aveva una doppia anima, da una parte contemplativa e malinconica, dall’altra estroversa ed esuberante. Mi fece recitare le poesie di Songfest in concerto con lui, e nel disco di West Side Story c’è la mia voce nelle parti dialogate di Maria. Non accettava le regole, e componeva tutte le notti. Era uno spirito libero».
La religiosità… «Era un argomento privato di cui non parlava, qui però venne allo scoperto. Suo padre Sam, mio nonno, era praticante ebreo, leggeva sempre il Talmud».
È stato difficile, come figlia, accettare la sua bisessualità? «Nei primi tempi non fu facile accettarlo. Amava mia madre, ma il matrimonio non gli bastava. Ciò che è straordinario è che a un certo punto tornò a casa, passò gli ultimi due anni della vita di mia madre, Felicia, con lei, una regina dell’eleganza a cui avevano diagnosticato un tumore e morì nel 1978, giovane, a 56 anni. Lei scrisse una lettera in cui diceva che non voleva essere la martire di Leonard Bernstein. Ma lo amava».
Oggi Mass .... «Piacerà per la contaminazione dei generi. C’è canto, danza, recitazione, ci sono richiami al gregoriano, la chitarra, versi di Paul Simon, residui di mio padre in origine destinati a Fratello sole, sorella luna di Zeffirelli, frammenti di liturgia in ebraico e in inglese…E’ un progetto folle e ambizioso, un pezzo che riflette la complessità di una società, e al centro c’è la crisi della fede nel XX secolo, tema oggi attualissimo. Le parole di Mass sono il suo autoritratto: Cosa dico non lo sento, cosa sento non lo mostro, cosa mostro non è reale, cosa è reale non lo so».
Debutto a Caracalla per la regia di Michieletto con l’orchestra dell’Opera di Roma