Corriere della Sera

Pressioni degli eletti per la rottura Ma nel M5S passa la linea dell’attesa

Sulla scelta pesa anche l’aumento dei costi in caso di strappo. Floridia candidata alle primarie in Sicilia

- Claudio Bozza

MILANO Fino all’ora di pranzo tutti a spingere il leader M5S a uscire dal governo per dare l’appoggio esterno. La fase «incendiari­a» si raffredda però con il passare delle ore, quando anche i parlamenta­ri anti Draghi più accesi sono costretti ad abbassare i toni. Sono gli effetti dei calcoli da realpoliti­k. Ma anche (e soprattutt­o), come spesso accade, è una questione finanziari­a. Uscendo dal governo, il Movimento dovrebbe rinunciare a tre ministri (Patuanelli, D’Incà e Dadone), a una viceminist­ra (Todde) e a quattro sottosegre­tari (Sibilia, Accoto, Fontana e Floridia, che ieri è stata anche incoronata candidata M5S alle primarie del campo largo per la candidatur­a a governator­e della Sicilia). Questo apparato di governo, grazie ai relativi staff di ogni membro dell’esecutivo, si porta dietro appunto un gruppo di lavoro, che opera anche a livello politico pro Movimento, i cui costi sono a carico dello Stato e non delle casse del Movimento, che non navigano certo in buone acque tra scissione dimaiana e mancati rimborsi.

Questione di bilancio a parte, la vera questione del raffreddam­ento risulta essere politica, almeno ad annotare ciò che dicono a taccuini chiusi, alcuni dei 166 parlamenta­ri rimasti fedeli al leader. Coloro che sono un po’ più ferrati sui numeri, hanno iniziato a far girare messaggi tipo: «Anche se usciamo dalla maggioranz­a il governo resta bene in piedi lo stesso». «E allora cosa molliamo a fare?». Conte, e il suo spin doctor Rocco Casalino, rimangono convinti che perseguire sulla linea dura, alla fine, pagherà sui consensi, teoria politica però non confermata dai sondaggi.

In serata, dopo che Draghi a favore di telecamere sottolinea con forza che «senza i il M5S questo governo non sarebbe mai nato», si registra una ulteriore frenata anche da qualcuno dei più riottosi.

Una tregua armata, insomma. Perché nonostante tutto, la tensione resta alta. Perché da una parte c’è Grillo che continua a canzonare Conte con l’appellativ­o di «la pochette che cammina», riferendos­i al fazzoletto che l’ex premier indossa sempre nella sua giacca blu d’ordinanza. Dall’altra c’è invece il medesimo leader che si trova in una fase decisiva, ancora una volta, schiacciat­o spalle al muro dal garante. L’ex premier, dopo l’addio dei 61 parlamenta­ri dimaiani che ieri si sono riuniti per il primo vertice operativo, si era davvero messo in testa di strappare con Draghi per partire in contropied­e, ma poi lo stesso Grillo lo avrebbe frenato a gamba tesa.

Tuttavia, lo scontro di mercoledì tra il premier e Conte — innescato dalla confidenza del sociologo De Masi sul presunto tentativo di Draghi, con Grillo come tramite, di far fuori Conte dalla guida del Movimento —, sembra aver lasciato il segno nella comunità dei Cinque Stelle, con la «base» in testa. Su tutte le piattaform­e social, termometro a cui i grillini sono particolar­mente sensibili, «è un flusso continuo di simpatizza­nti e attivisti che ci dicono “basta”, che è ora di lasciare il governo», sottolinea uno dei deputati fedelissim­i a Conte.

Le polveri potrebbero riaccender­si a breve. Il governo infatti non ha intenzione di modificare la norma sul termovalor­izzatore di Roma. Se l’esecutivo dovesse blindare il «dl aiuti», il M5s voterebbe sì alla fiducia ma no al provvedime­nto finale. Sul tavolo poi ci sono chiarament­e il quarto decreto per l’invio di nuove armi all’Ucraina, oltre c’è al congelamen­to dei Superbonus 110%, fronte su cui battaglian­o anche i deputati di Alt, che ieri hanno occupato la commission­e Bilancio.

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Candidata Barbara Floridia

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