Terroristi, Macron sta con l’Italia «Verificare l’ipotesi del ricorso»
Le parole del presidente dopo il no all’estradizione. Le pressioni sul procuratore
PARIGI All’indomani del «no all’estradizione» pronunciato dalla camera di istruzione della corte di appello di Parigi, il presidente Macron è tornato ad auspicare che i 10 ex militanti della lotta armata rifugiati da anni in Francia «siano giudicati sul suolo italiano: è il rispetto che dobbiamo alle famiglie delle vittime e alla nazione italiana».
Macron ha riaffrontato la questione rispondendo a una domanda durante la conferenza stampa al vertice della Nato a Madrid, e ha ripreso gli argomenti che nell’aprile 2021 lo avevano portato ad accogliere finalmente le richieste italiane e a fare arrestare i dieci ex terroristi.
Ma la spaccatura tra il potere politico e l’ordine giudiziario in Francia, su questa vicenda, è ormai evidente. Se il rifiuto pronunciato dai giudici mercoledì è stato percepito come uno schiaffo all’Italia, si è trattato anche di una sconfessione del capo dello Stato francese, che un anno fa aveva usato toni solenni — in virtù anche degli ottimi rapporti con il premier Mario Draghi — per annunciare la volontà di consegnare i dieci pluricondannati all’Italia.
Ieri Macron ha ribadito la «volontà politica di sostenere la domanda di estradizione del governo italiano, conformemente a quella che è sempre stata la politica della Francia, ovvero rifiutare l’estradizione solo delle persone non implicate in crimini di sangue (la cosiddetta dottrina Mitterrand, ndr). Nella fattispecie, le persone di cui stiamo parlando sono state implicate in crimini di sangue e quindi meritano di essere giudicate sul suolo italiano».
In realtà, la dottrina Mitterrand è stata piegata in questi decenni a varie interpretazione in Francia, e l’eccezione dei «crimini di sangue» è tuttora contestata. «Già dal discorso di Mitterrand davanti alla Lega dei diritti dell’uomo, nel 1985, la formula sui “crimini di sangue” è totalmente assente — dice Antoine Comte, avvocato di Sergio Tornaghi —. Tutto quel che chiede Mitterrand per dare protezione agli ex terroristi è che “abbiano rotto con la macchina infernale nella quale si erano impegnati”, cioè che abbiano rinunciato alla lotta armata, cosa che il mio assistito ha fatto. Macron dice una cosa non vera».
Se volgiamo lo sguardo verso i decenni passati, è evidente come l’applicazione della «dottrina Mitterrand» sia stata sempre ambigua e sottoposta alla doppia interpretazione — spesso opposta — di giudici e politici. Prendiamo il caso di Roberta Cappelli, per esempio: condannata all’ergastolo per gli omicidi del generale Galavigi, dell’agente di polizia Michele Granato e del commissario Vinci, fuggita in Francia con il marito e il figlio nel 1993, ha vissuto una situazione invertita rispetto a quella di oggi. Nel 1995 Cappelli venne arrestata e i giudici francesi volevano rimandarla in Italia, ma né il premier Edouard Balladur né il presidente Jacques Chirac vollero firmare il decreto di estradizione. Stavolta Macron vorrebbe estradarla, ma sono i giudici a opporsi.
Il ministro della Giustizia, Eric Dupond-Moretti, doppia nazionalità francese e italiana, che un anno fa fece scalpore — «Avremmo accettato che uno dei terroristi del Bataclan andasse a vivere per quarant’anni in Italia?», si chiese —, oggi è chiamato a fare pressione sul procuratore generale francese affinché presenti ricorso contro il «no all’estradizione».
Macron vuole leggere le motivazioni della decisione dei magistrati, attese «nelle prossime ore», e spera nel ricorso in Cassazione «o in altre vie giurisdizionali» per mantenere la promessa fatta al governo italiano.