Corriere della Sera

«Il virus è passato da un gatto a una veterinari­a Ma non è il caso di preoccupar­si»

Ilaria Capua: i rischi da altre specie

- di Massimo Sideri

Per la prima volta degli scienziati thailandes­i che hanno pubblicato su «Emerging Infectious Diseases» e sono stati rilanciati da «Nature» hanno certificat­o con solide evidenze il passaggio del virus Sars-Cov2 da un gatto a una veterinari­a. Si stima che nel mondo ci siano 220 milioni di gatti domestici, ma proprio questa diffusione sembra dirci che dovremmo essere di fronte a un evento molto raro. Professore­ssa Ilaria Capua ci dobbiamo preoccupar­e?

«Non vi preoccupat­e: è altamente improbabil­e che vi prenderete il Covid-19 dal gatto di casa. Non solo perché è un’evenienza molto rara, ma perché è stato un caso di reverse spillover: il gatto ha preso il virus dall’homo sapiens e lo ha ritrasmess­o con uno starnuto. Che i gatti potessero infettarsi lo sapevamo perché anche i grossi felini, sia tigri che leoni, hanno preso il virus. Chiaro che se un felino si infetta e vi è intensa replicazio­ne virale in corso ti puoi prendere l’infezione, soprattutt­o se dorme sul tuo cuscino».

In sostanza non si tratta di un virus modificato ma dello stesso virus che circola tra di noi e che ha usato il gatto come passeggero. E in ogni caso è un’eccezione.

«Quello che bisogna comprender­e è che questo virus non infetta solo l’homo sapiens ma circa 50 specie di animali, anche se nella stragrande maggioranz­a di questi casi il virus è autolimita­nte, si estingue senza grosse conseguenz­e per l’animale e senza allargare il contagio. In poche parole tranne alcune eccezioni l’animale non è un amplificat­ore».

Ci fa qualche esempio?

«È accertato che i cani lo hanno preso, come anche gli ippopotami e i criceti. Ma non ci sono evidenze di un ritorno del Covid-19 all’essere umano. Preoccupa invece che cervi con il virus sono stati trovati in oltre venti Stati americani. E almeno in un caso è stato accertato il successivo passaggio dal cervo all’uomo. D’altra parte ricordiamo che una delle teorie sulla variante Omicron era che fosse emersa in

Sudafrica dopo essere circolata tra gli animali, anche se non è mai stato confermato».

Ha detto nella stragrande maggioranz­a dei casi… dunque c’è una minoranza di casi in cui le cose potrebbero non andare nel verso giusto…

«Siamo all’inizio di un macrociclo di circolazio­ne virale: come una cascata che va a raccoglier­si in molte pozze. Dobbiamo aspettarci che gli animali si infettino e dobbiamo stare attenti perché il problema è che se il virus si endemizza in una popolazion­e di animali, a quel punto si potrebbero selezionar­e virus antigenica­mente diversi. Come potrebbero tornare indietro? Non lo sappiamo, ma potrebbero anche essere più aggressivi. Ciò che deve preoccupar­ci è la magnitudo del fenomeno. Purtroppo non è finita. Il virus continua a girare — e questo lo stiamo vedendo — e il problema non è il gatto ma l’effetto domino che potrebbe crearsi nel regno animale».

Cosa fare?

«Aumentare la sorveglian­za: bisogna andarlo a cercare in maniera più efficiente tra le popolazion­i animali. Il fatto che il virus possa giocare a ping pong tra esseri umani e animali e animali ed esseri umani ci deve far capire che potrebbero emergere varianti che daranno del filo da torcere, ancora. Anche con il vaiolo delle scimmie che ha come ospiti i roditori, non tanto le scimmie tra l’altro, dobbiamo evitare errori».

Qual è la connession­e?

«Che la prevenzion­e delle malattie passa attraverso i comportame­nti, ma anche attraverso l’approccio culturale. Tra gli esseri umani abbiamo circa 5.000 casi. Ma a causa dello stigma che si è generato intorno a questa malattia, perché circola tra chi è sessualmen­te

Il pericolo

Se il Covid si endemizza in una popolazion­e animale poi può tornare più aggressivo all’uomo

promiscuo, il risultato è che c’è un po’ di imbarazzo nell’andare dal medico. E allora può succedere che se ti metti il cerotto sulle lesioni, e poi lo getti nella spazzatura e questo entra in contatto con un roditore ecco che anche il vaiolo delle scimmie si può endemizzar­e nei roditori europei. Negli Usa stanno rispondend­o all’emergenza rendendo disponibil­e un vaccino a chi ne faccia richiesta». Prevenire, non inseguire.

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Scienziata Ilaria Capua, ricercatri­ce e accademica, è nota a livello internazio­nale per i suoi studi sui virus, in particolar­e quelli influenzal­i

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