LA LUCE DELLA CITTÀ
MILANO (E L’ITALIA) NEGLI ARCHIVI DI FONDAZIONE AEM
La storica azienda valorizza il suo patrimonio fotografico e cinematografico. Con un museo che nascerà in autunno, le mostre e un ciclo di incontri. Nel segno dell’energia
Per capire Milano bisogna venire anche qui. Dentro un’anima di mattoni che la racchiude tutta. Essenziale e sobria. Quasi defilata. Se non fosse per una fierezza che tracima inevitabile. Questo edificio di mura squadrate eppure eleganti, in piazza Po, era una sottostazione dell’AEM. Adesso è sede della Fondazione della municipalizzata cara al cuore degli ambrosiani. Perché qui ci vedono il loro cammino di rinascita e innovazione. La voglia di osare e le radici che non tradiscono. La palazzina ha uno stile mitteleuropeo tutto suo. Quasi un retaggio inconscio dell’impronta asburgica sulla città. Del resto le prime lampade notturne furono introdotte proprio dall’imperatore Giuseppe II nel 1784.
È anche il guscio pregiato dell’AEMmuseum che sarà inaugurato questo autunno. Uno spazio espositivo che raccoglie un patrimonio che non è solo di archeologia industriale. Un polo di attrazione destinato ad aprirsi a tutta la città. Denso di eventi e suggestioni. La linea guida riprende quello delle mostre sul modello anglosassone. Che «esige» il coinvolgimento dei visitatori. La proposta coniuga tradizione e domani. Accanto ai cimeli, alcuni pezzi davvero unici, c’è la tecnologia che permetterà di fruire online di un’offerta infinita. Sono più di 21 mila le immagini già digitalizzate che saranno presto fruibili online su una nuova piattaforma. E frammenti numerosi dell’archivio fotografico messo insieme in più di un secolo ha visto l’apporto di autori del livello di Guglielmo
Chiolini, Antonio Paoletti, Vincenzo Aragozzini. Fino a Gianni Berengo Gardin e Gabriele Basilico.
Nella timeline dell’AEMmuseum si potrà passeggiare tra storia e costume. L’archivio conserva tutti i numeri dell’house organ «Il Chilowattora», che uscì dal 1952 al 1981. La Quadreria raccoglie invece stampe, disegni e dipinti, per la gran parte a olio e a tempera. La testimonianza artistica degli impianti e degli edifici storici, ma anche degli invasi della Valtellina. Tra i quali le opere del pittore bergamasco Paolo Punzo con la rappresentazione dei ghiacciai, i torrenti e le valli dell’alta Lombardia. L’arte che si ritrova anche nei quadri di Umberto Boccioni. Dipinse la sede dell’AEM in piazza Trento con le tre ciminiere che fino all’abbattimento, nel 1952, sono state, insieme al Duomo, la skyline della città. Il pittore abitava di fronte, in via Adige.
Un percorso pensato per accompagnare il visitatore senza mai farlo sentire solo ospite. La più che centenaria storia di AEM raccontata con i reperti industriali e un materiale video unico nel suo genere. C’è persino un cinemino che proietta a ciclo ininterrotto le pellicole sui momenti che hanno segnato il cammino della municipalizzata.
Ci sono gli oggetti che sono più di una romantica nostalgia dei tempi andati. Milano che correva come il suo rattin, il meccanismo che permetteva di illuminare la Galleria già nel 1867, uno dei reperti conservati al museo. Insieme agli oggetti più recenti, come l’elmetto dei dipendenti AEM. Con il logo disegnato da Bob Noorda. Persino i colori raccontano di una città. Con il blu del manto della Madonna e il giallo del sole che anche quando è pallido «è bello quando è bello» come il cielo di Lombardia.
L’avvento di AEM è stato un bagliore sull’orizzonte di un Paese nato da un soffio di tempo. Siamo nel 1910, l’illuminazione è in mano ai privati, Edison ha il monopolio. Milano coglie l’attimo. Ancora una volta riesce a coniugare il suo individualismo con le esigenze della collettività. Pubblico e privato che si intrecciano. Lo spirito imprenditoriale che la anima è la logica conseguenza. Così come le eccellenze scientifiche che si mettono subito al servizio di quel progresso che va accompagnato con sagacia. Le migliori risorse del Politecnico da sempre collaborano con la municipalizzata. E molti di loro hanno ricoperto anche ruoli dirigenziali, un nome su tutti: Roberto Tremelloni.
Il museo attraversa i tempi e ne conserva i sapori. Il maquillage di queste settimane realizzato da Fondazione AEM è frutto di un lavoro di squadra con la curatela scientifica di Fabrizio Trisoglio e la collaborazione di Giulio Bursi, il progetto espositivo e l’ideazione grafica di Marisa Coppiano con Alessandra Co
Uno spazio espositivo dove si raccoglie un patrimonio che non è solo di archeologia industriale
Ci sono le immagini storiche che dal bianco e nero si tramutano nel colore. E c’è anche la tecnologia
moglio e Francesca Pavese. E la partecipazione di Codice Edizioni. Le immagini storiche che dal bianco e nero si tramutano nel colore. Lo spazio espositivo mostra anche la capacità di adattarsi della municipalizzata alle parentesi difficili della storia. Il fascismo che all’inizio osteggia questa tipologia di aziende troppo socialisteggianti. Poi ne intuisce le potenzialità propositive. E anche AEM diventa uno strumento utile per la propaganda del regime. Ne asseconda le manie di grandezza ma coglie anche opportunità per crescere. Un connubio che non diventa mai un abbraccio mortale. Anche per questo gli uomini della Resistenza sono quelli che proteggono e mettono in salvo gli impianti e le dighe della Valtellina dalla minaccia dei nazisti in ritirata.
Il dopoguerra è terreno fecondo per la rinascita. Ci sono i germi del miracolo economico e AEM sarà protagonista in assoluto. L’idea del welfare per i dipendenti e uno sguardo che sa come si fa a intercettare prima il futuro.