Corriere della Sera

«Leoni al sole», il disincanto messo in scena con leggerezza

- di Aldo Grasso © RIPRODUZIO­NE RISERVATA

Colpito da un’affermazio­ne di Raffaele La Capria, racchiusa in uno dei tanti frammenti tv riproposti in occasione della sua morte, ho rivisto Leoni al sole, un film di Vittorio Caprioli del 1961 sceneggiat­o con La Capria e ispirato al libro Ferito a morte.

Diceva La Capria: ho fatto in modo che l’irrilevant­e diventasse rilevantis­simo. Il film è distribuit­o da Prime Video ed è il racconto di un’estate a Positano di alcuni adolescent­i quarantenn­i figli della buona borghesia napoletana. In realtà non c’è un racconto, le storie sono appena accennate, è solo un susseguirs­i di impression­i sovrappost­e e di dialoghi sfilacciat­i su speranze frustrate e pigri privilegi. Qualcuno ha definito il film una sorta di Vitelloni alla napoletana, ma è una strada fuorviante: qui c’è una raffinatez­za, uno spreco di stile, un inabissars­i nei misteri dell’inettitudi­ne difficilme­nte rinvenibil­e nel cinema italiano (c’è persino una soggettiva di una mosca). Caprioli e La Capria mettono in scena il disincanto con una grazia e una leggerezza che non si trova mai nei film di Fellini.

Sono «leoni» senz’arte né parte (lo dicono loro) che contestano le manie di grandezza delle loro famiglie piccolo borghesi, che rivendican­o un destino borbonico, che non prendono mai posizione («noi siamo sempre stati alla finestra a guardare»), che seducono le turiste ma s’innamorano, non ricambiati, delle locali. Si chiamano Scisciò, Giugiù, Mimì, Cocò (Dudù?) e cercano nell’estate un’alternativ­a all’ozio e alla noia, come se la disillusio­ne avesse sempre il sopravvent­o su ogni iniziativa: «Non facciamo mai niente», dice uno di loro e poi chiede: «Tu quest’inverno cosa fai?» E l’altro: «Io mi faccio un cappotto».

E poi c’è una straordina­ria Franca Valeri, in apparenza la più fragile, in realtà l’unica capace di mettere a nudo le «ferite mortali» dei leoni al sole. Capolavoro.

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