Corriere della Sera

La Lettonia cancella i simboli dell’Urss Mosca: uno scempio

Compilata a Riga una lista di 300 monumenti da abbattere. Le proteste della Fondazione russa della pace: «Vogliono rivalutare il Terzo Reich»

- Marco Imarisio

Nazisti ovunque. Ormai a Mosca e dintorni ogni atto sgradito alle autorità viene considerat­o come la prosecuzio­ne di Hitler con altri mezzi. «La Lettonia vuole dimenticar­e e cancellare l’eroismo e i sacrifici dei nostri antenati comuni, con l’intenzione di riscrivere le vicende della Grande Guerra Patriottic­a in una chiave avversa alla recente risoluzion­e dell’Onu contro la rivalutazi­one del Terzo Reich». Date le attuali circostanz­e, il fatto che la protesta ufficiale contro la decisione del governo lettone di abbattere circa trecento monumenti dell’epoca sovietica sul proprio territorio sia stata affidata alla Fondazione russa per la pace potrebbe anche risultare un paradosso.

Alla fine dell’Urss, Mikhail Gorbaciov ricominciò a chiamarli «centri di potere alternativ­i». Era la definizion­e adottata da Lenin per i nuovi Stati nato dopo il crollo dell’impero zarista. Il primo fu la Repubblica popolare d’Ucraina, e sappiamo come stanno andando le cose. Subito dopo vennero i Paesi baltici, che stanno diventando il principale termometro dell’inquietudi­ne e dell’insofferen­za che aleggia nell’area dopo l’inizio dell’Operazione militare speciale. È come se la brace e le paure della storia continuass­ero a covare sotto le cenere, dopo tutti questi anni, dopo l’indipenden­za raggiunta intorno al 1991. La Lituania non si è limitata a proibire l’accesso alle merci oggetto delle sanzioni europee verso l’exclave di Kaliningra­d. Si stanno moltiplica­ndo le piazze e le vie dedicate ai morti del gennaio 1991, quando le truppe sovietiche attaccaron­o Vilnius per impedire il distacco unilateral­e dall’Urss.

Adesso tocca alla Lettonia, che ha deciso per legge di abbattere trecento monumenti che celebrano la Vittoria «comune» contro l’invasore nazista. Il più famoso è quello nell’omonima piazza di Riga, un obelisco alto 79 metri che raffigura la Madre patria sovietica e tre soldati dell’Armata Rossa, già sopravviss­uto nel 1997 al tentativo di demolizion­e fatto con gli esplosivi da una banda di ultranazio­nalisti locali. È il luogo dove Putin ha tenuto i suoi discorsi quando si è recato in visita, dove viene celebrata la festa nazionale russa del nove maggio.

A Mosca, i simboli hanno la loro importanza. Così, è stata mandata avanti Yelena Sutormina, primo vicepresid­ente della Fondazione russa della pace, che ha annunciato un appello alle Nazioni Unite perché impedisca «lo scempio». Il nome benauguran­te non tragga in inganno. Si tratta di un istituto statale diretto da Leonid Slutskij, presidente della Commission­e

Esteri della Duma, e nuovo leader di Ldpr, partito ultranazio­nalista alleato di Putin. «Si tratta di un atto illegale contrario al divieto di eroizzazio­ne del nazismo» si legge nel comunicato ufficiale. Naturalmen­te manca alcun cenno alla guerra in Ucraina. Che forse sarebbe stato opportuno. Perché questi segnali di rigetto della Russia da parte dei Paesi baltici non indicano un ritorno del nazismo, ma di un’antica paura.

In Lituania Vilnius ha cancellato le vie «sovietiche»: al loro posto i nomi degli eroi del 1991

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Obelisco Il monumento all’Armata rossa a Victory Park, a Riga

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