La Lettonia cancella i simboli dell’Urss Mosca: uno scempio
Compilata a Riga una lista di 300 monumenti da abbattere. Le proteste della Fondazione russa della pace: «Vogliono rivalutare il Terzo Reich»
Nazisti ovunque. Ormai a Mosca e dintorni ogni atto sgradito alle autorità viene considerato come la prosecuzione di Hitler con altri mezzi. «La Lettonia vuole dimenticare e cancellare l’eroismo e i sacrifici dei nostri antenati comuni, con l’intenzione di riscrivere le vicende della Grande Guerra Patriottica in una chiave avversa alla recente risoluzione dell’Onu contro la rivalutazione del Terzo Reich». Date le attuali circostanze, il fatto che la protesta ufficiale contro la decisione del governo lettone di abbattere circa trecento monumenti dell’epoca sovietica sul proprio territorio sia stata affidata alla Fondazione russa per la pace potrebbe anche risultare un paradosso.
Alla fine dell’Urss, Mikhail Gorbaciov ricominciò a chiamarli «centri di potere alternativi». Era la definizione adottata da Lenin per i nuovi Stati nato dopo il crollo dell’impero zarista. Il primo fu la Repubblica popolare d’Ucraina, e sappiamo come stanno andando le cose. Subito dopo vennero i Paesi baltici, che stanno diventando il principale termometro dell’inquietudine e dell’insofferenza che aleggia nell’area dopo l’inizio dell’Operazione militare speciale. È come se la brace e le paure della storia continuassero a covare sotto le cenere, dopo tutti questi anni, dopo l’indipendenza raggiunta intorno al 1991. La Lituania non si è limitata a proibire l’accesso alle merci oggetto delle sanzioni europee verso l’exclave di Kaliningrad. Si stanno moltiplicando le piazze e le vie dedicate ai morti del gennaio 1991, quando le truppe sovietiche attaccarono Vilnius per impedire il distacco unilaterale dall’Urss.
Adesso tocca alla Lettonia, che ha deciso per legge di abbattere trecento monumenti che celebrano la Vittoria «comune» contro l’invasore nazista. Il più famoso è quello nell’omonima piazza di Riga, un obelisco alto 79 metri che raffigura la Madre patria sovietica e tre soldati dell’Armata Rossa, già sopravvissuto nel 1997 al tentativo di demolizione fatto con gli esplosivi da una banda di ultranazionalisti locali. È il luogo dove Putin ha tenuto i suoi discorsi quando si è recato in visita, dove viene celebrata la festa nazionale russa del nove maggio.
A Mosca, i simboli hanno la loro importanza. Così, è stata mandata avanti Yelena Sutormina, primo vicepresidente della Fondazione russa della pace, che ha annunciato un appello alle Nazioni Unite perché impedisca «lo scempio». Il nome benaugurante non tragga in inganno. Si tratta di un istituto statale diretto da Leonid Slutskij, presidente della Commissione
Esteri della Duma, e nuovo leader di Ldpr, partito ultranazionalista alleato di Putin. «Si tratta di un atto illegale contrario al divieto di eroizzazione del nazismo» si legge nel comunicato ufficiale. Naturalmente manca alcun cenno alla guerra in Ucraina. Che forse sarebbe stato opportuno. Perché questi segnali di rigetto della Russia da parte dei Paesi baltici non indicano un ritorno del nazismo, ma di un’antica paura.
In Lituania Vilnius ha cancellato le vie «sovietiche»: al loro posto i nomi degli eroi del 1991