La fine della diarchia internazionale e il ruolo da intermediario dell’Ue
La fine della Guerra fredda ha avuto un risultato a cui non abbiamo prestato una sufficiente attenzione. Ha messo fine alla diarchia (Russia e Stati Uniti) che aveva governato per parecchi decenni la società internazionale. Mosca, ormai priva del suo Vangelo (il comunismo), ha perduto il cemento che aveva unito le Repubbliche socialiste e sovietiche dall’epoca di Vladimir Lenin; mentre gli Stati Uniti sembrano stanchi della loro democrazia liberale e ne hanno dato una prova eleggendo alla Casa Bianca un uomo politico, Donald Trump, che è capriccioso, incompetente, privo di qualsiasi talento e pronto a tornare in campo per ripetere le gesta del passato. Vi sono stati tentativi riformatori (fra cui quello di Michail Gorbaciov nell’Urss e Joe Biden negli Stati Uniti), ma con risultati inferiori alle aspettative e alle esigenze dei loro Paesi. In Cina e in India, intanto, due grandi nazioni si stanno dimostrando sempre più capaci di amministrare il proprio continente e di rispondere alle esigenze dei loro popoli senza ricorrere, come nel passato, alla paterna consulenza dell’Europa. L’era dei grandi imperi è finita, ma l’Europa ha ancora uno straordinario patrimonio di esperienze e talenti. Non esiste ancora uno «Stato Europa», ma Francia, Germania, Italia, Belgio e Paesi Bassi avevano deciso, sino dalla fine della Seconda guerra mondiale, di crearlo, sia pure gradualmente, e avevano attratto lungo la strada l’attenzione di altri Stati, fra i quali soprattutto Spagna, Portogallo, alcuni Paesi scandinavi e balcanici. Questa nuova Europa aveva fatto molti progressi, soprattutto in materia di economia e politica sociale, ma non aveva mai completato l’opera dando a sé stessa ciò che maggiormente distingue uno Stato: l’esercito. L’Europa non ha particolari ambizioni militari, ma è destinata ad avere le responsabilità di una grande potenza e non potrà mai ignorare che la preservazione della pace può richiedere, in alcune circostanze, l’uso delle armi. Alcune recenti dichiarazioni sull’argomento di Emmanuel Macron, presidente della Repubblica francese, erano forse fatte soprattutto per valorizzare la «force de frappe» (l’arma nucleare di cui la Francia dispone sin dall’epoca del generale De Gaulle), ma possono sempre diventare l’inizio di un progetto collettivo. L’occasione da cogliere esiste ed è la guerra ucraina. Il Paese è europeo e desidera fare parte della nostra Unione. I tempi non sono ancora maturi e l’Ucraina ha ancora bisogno di ricomporre la propria unità nazionale. Ma se il ritorno alla pace richiede una forza armata nel ruolo dell’intermediario, perché questo dovrebbe essere russo o americano, vale a dire di due Paesi che hanno l’abitudine di non andarsene dal luogo in cui hanno messo piede? Non sarebbe meglio che l’intermediario fosse europeo? Sarebbe il primo passo di un processo destinato a concludersi con l’ingresso dell’Ucraina nell’Ue.