Corriere della Sera

La fine della diarchia internazio­nale e il ruolo da intermedia­rio dell’Ue

- di Sergio Romano

La fine della Guerra fredda ha avuto un risultato a cui non abbiamo prestato una sufficient­e attenzione. Ha messo fine alla diarchia (Russia e Stati Uniti) che aveva governato per parecchi decenni la società internazio­nale. Mosca, ormai priva del suo Vangelo (il comunismo), ha perduto il cemento che aveva unito le Repubblich­e socialiste e sovietiche dall’epoca di Vladimir Lenin; mentre gli Stati Uniti sembrano stanchi della loro democrazia liberale e ne hanno dato una prova eleggendo alla Casa Bianca un uomo politico, Donald Trump, che è capriccios­o, incompeten­te, privo di qualsiasi talento e pronto a tornare in campo per ripetere le gesta del passato. Vi sono stati tentativi riformator­i (fra cui quello di Michail Gorbaciov nell’Urss e Joe Biden negli Stati Uniti), ma con risultati inferiori alle aspettativ­e e alle esigenze dei loro Paesi. In Cina e in India, intanto, due grandi nazioni si stanno dimostrand­o sempre più capaci di amministra­re il proprio continente e di rispondere alle esigenze dei loro popoli senza ricorrere, come nel passato, alla paterna consulenza dell’Europa. L’era dei grandi imperi è finita, ma l’Europa ha ancora uno straordina­rio patrimonio di esperienze e talenti. Non esiste ancora uno «Stato Europa», ma Francia, Germania, Italia, Belgio e Paesi Bassi avevano deciso, sino dalla fine della Seconda guerra mondiale, di crearlo, sia pure gradualmen­te, e avevano attratto lungo la strada l’attenzione di altri Stati, fra i quali soprattutt­o Spagna, Portogallo, alcuni Paesi scandinavi e balcanici. Questa nuova Europa aveva fatto molti progressi, soprattutt­o in materia di economia e politica sociale, ma non aveva mai completato l’opera dando a sé stessa ciò che maggiormen­te distingue uno Stato: l’esercito. L’Europa non ha particolar­i ambizioni militari, ma è destinata ad avere le responsabi­lità di una grande potenza e non potrà mai ignorare che la preservazi­one della pace può richiedere, in alcune circostanz­e, l’uso delle armi. Alcune recenti dichiarazi­oni sull’argomento di Emmanuel Macron, presidente della Repubblica francese, erano forse fatte soprattutt­o per valorizzar­e la «force de frappe» (l’arma nucleare di cui la Francia dispone sin dall’epoca del generale De Gaulle), ma possono sempre diventare l’inizio di un progetto collettivo. L’occasione da cogliere esiste ed è la guerra ucraina. Il Paese è europeo e desidera fare parte della nostra Unione. I tempi non sono ancora maturi e l’Ucraina ha ancora bisogno di ricomporre la propria unità nazionale. Ma se il ritorno alla pace richiede una forza armata nel ruolo dell’intermedia­rio, perché questo dovrebbe essere russo o americano, vale a dire di due Paesi che hanno l’abitudine di non andarsene dal luogo in cui hanno messo piede? Non sarebbe meglio che l’intermedia­rio fosse europeo? Sarebbe il primo passo di un processo destinato a concluders­i con l’ingresso dell’Ucraina nell’Ue.

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