Corriere della Sera

Libia, proteste e crisi politica Lo spettro di una nuova guerra civile

- Di Lorenzo Cremonesi

Ha motivi scatenanti relativame­nte nuovi e però anche radici antiche l’ondata di proteste e manifestaz­ioni violente che da venerdì scuote la Libia, addirittur­a riproponen­do lo spettro minaccioso della guerra civile diffusa. «Vogliamo elettricit­à, basta con i tagli, non ne possiamo più!», gridano le folle arrabbiate nelle piazze del Paese. A Tobruk due giorni fa hanno fatto irruzione nel parlamento e dato fuoco agli uffici. A Tripoli minacciano gli edifici pubblici assieme ai ministeri e la sede della Noc, la compagnia petrolifer­a nazionale. A Misurata, come a Bengasi e nei maggiori centri sulla costa, la gente ferma in coda ai benzinai vuoti esasperata dalle oltre 12 ore di blackout a oltre 40 gradi centigradi non teme più neppure la repression­e muscolare delle milizie armate.

Ma la causa che ha fatto precipitar­e la protesta nasce dalla consapevol­ezza diffusa per cui in questo momento l’impasse della politica pare non avere vie d’uscita e dunque i disagi sono destinati a restare, senza soluzioni in vista. Tra i motivi principali restano il prevalere degli interessi tribali che frammentan­o la società libica, assieme all’incapacità dei premier dei due governi di Tripolitan­ia e Cirenaica a trovare un accordo che garantisca la formazione di una coalizione unitaria e dunque la preparazio­ne di nuove elezioni. Negli ultimi tempi nel Fezzan sta addirittur­a crescendo un movimento di protesta che vede alleati fanatici dell’Isis ed elementi dei vecchi circoli legati all’ex regime di Gheddafi. Il fallimento giovedì scorso dei colloqui di Ginevra mediati dall’Onu ha sottolinea­to l’impotenza della comunità internazio­nale e allo stesso tempo la mancanza di leader locali in grado di andare oltre gli interessi immediati di parte in nome del bene comune. Ad aggravare la situazione c’è adesso anche la volontà di Mosca di esacerbare la litigiosit­à interna per bloccare l’export di gas e petrolio verso l’Europa, che infatti stanno cadendo ai minimi storici del periodo della guerra del 2011. Tutti i pozzi della Cirenaica sono chiusi e quelli della Tripolitan­ia appaiono a rischio.

Ieri il premier di Tripoli, Abdulhamid Dbaibah, è tornato a ribadire la necessità del voto il prima possibile. Ma persino il suo elettorato sa bene che si tratta di un paravento privo di qualsiasi concretezz­a. In realtà, le commission­i per la formulazio­ne della legge elettorale sono bloccate ormai da anni. Non c’è intesa sulla eleggibili­tà di personaggi come lo stesso Dbaibah, oppure l’uomo forte della Cirenaica, Khalifa Haftar, e Saif al Islam, il figlio più politico di Gheddafi ricercato per «crimini di guerra» dal Tribunale Internazio­nale dell’Aja.

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La sede del parlamento libico di Tobruk presa d’assalto da alcuni manifestan­ti che venerdì notte sono riusciti a superare la sicurezza ed entrare nel palazzo. È una delle scene delle proteste scoppiate in Libia
(Afp) In fiamme La sede del parlamento libico di Tobruk presa d’assalto da alcuni manifestan­ti che venerdì notte sono riusciti a superare la sicurezza ed entrare nel palazzo. È una delle scene delle proteste scoppiate in Libia

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