Dal telefonino alla nota del dentista Mollicone, i depistaggi del maresciallo
Il processo a Mottola e al figlio. I superiori scrissero: «Le sue indagini sono lacunose e inconsistenti»
” La procura
Un assassino che indaga su sé stesso con ampia mano per sviare l’inchiesta è una anomalia su scala mondiale
” I carabinieri
Il suo apporto alle indagini è inconsistente: per questo l’ammissione di superficialità è una spiegazione che non soddisfa
ROMA Indagini «lacunose» e «inconsistenti», mosse da una «incompatibilità ambientale» tale da rendere necessario il trasferimento del suo autore. Nel processo per il delitto di Serena Mollicone, spunta una relazione con la quale i superiori dell’ex maresciallo Franco Mottola - all’epoca comandante della stazione dei carabinieri di Arce bocciavano le sue «indagini» sul caso prima ancora di sapere che il collega ne fosse direttamente coinvolto. Un giudizio sul piano professionale molto negativo, dunque: Mottola riuscì a evitare l’onta di un trasferimento d’ufficio solo grazie a una furba mossa d’anticipo sui suoi superiori.
«Indagini su sé stesso»
La circostanza è stata rievocata venerdì in corte d’assise a Cassino dal pm Beatrice Siravo. Secondo la Procura, l’omicidio della 18enne avvenne proprio nella caserma diretta da Mottola per mano di suo figlio Marco. Il maresciallo in prima persona contribuì poi a far morire la ragazza imbavagliandola anziché soccorrerla e ne portò il corpo in un bosco assieme alla moglie Anna Maria. Ebbene, se solo dopo 21 anni si è arrivati a concretizzare l’accusa contro la famiglia Mottola, il motivo risiederebbe proprio nei depistaggi messi in piedi dallo stesso maresciallo, definito dal pm «una anomalia su scala mondiale di un assassino che indaga su sé stesso con ampia mano per depistare le indagini».
L’ordine di servizio
L’elenco è lungo ed è stato ripercorso nella requisitoria durata sei ore e non ancora conclusa. Secondo la Procura, subito dopo aver sbattuto la testa di Serena contro una porta dell’appartamento in uso ai Mottola, Marco fu fatto uscire di casa per farsi vedere in giro. Il padre Franco tornò invece in sede, ma sostenne di essere uscito subito dopo poggiando su un ordine di servizio pieno di incongruenze e imprecisioni, dunque sostanzialmente falso.
Testimoni ignorati
Il maresciallo raccolse il giorno dopo le testimonianze della barista Simonetta Bianchi e del carrozziere Carmine Belli (poi processato e assolto per il delitto) che davano chiare indicazioni sulla presenza di Serena in auto con Marco Mottola quella mattina. Solo dopo 25 giorni le registrò però agli atti e nel frattempo ne alterò il contenuto (anziché una Autobianchi Y10 bianca diramò la segnalazione per una Lancia Y rossa). Nascondendo quell’avvistamento, inoltre, il maresciallo riuscì secondo il pm a tenere ad Arce le indagini anche se per territorio sarebbe stata competente Isola Liri. Anche la collocazione del corpo nel bosco di Anitrella non fu una scelta casuale ma mosdepistaggi sa dall’idea di allontanare l’attenzione da quel passaggio del figlio al bar con la vittima.
Crescendo di coperture
Citati nell’informativa del comando provinciale dei carabinieri su cui si regge l’accusa ci sono poi gli episodi del ritrovamento del telefono di Serena a distanza di giorni in casa del padre o quello della nota con l’appuntamento dal dentista dove Serena era stata quella mattina, spuntato nella carrozzeria di Belli. Molto altro viene aggiunto sul clima di che caratterizzavano la gestione della caserma e le prime indagini condotte da Mottola: «Risalta maggiormente il comportamento del padre Franco nei confronti del figlio Marco», scrivono i militari del nucleo investigativo, definendolo «un crescendo di coperture». In un episodio non collegato all’omicidio, ad esempio, Mottola non registra una segnalazione per droga del figlio, incappato in un controllo stradale dei suoi sottoposti. La stessa droga (hashish) che il 20enne consumava e addirittura custodiva abitualmente in caserma e che sarebbe stata alla base della lite con Serena.
«Incompatibile»
Quando l’indagine sul delitto viene presa in gestione dal comando provinciale emerge per la prima volta il possibile coinvolgimento del comandante della stazione di Arce. Il rapporto stilato sul suo operato, letto in aula dal pm, parla di «inconsistente apporto informativo alle indagini», accertamenti «piuttosto lacunosi», per i quali «la ammissione di superficialità è una spiegazione insoddisfacente». «Mottola sapeva che il figlio frequentava pusher e consumava droga — è scritto ancora nella relazione — e questo fa sussistere una incompatibilità ambientale che rende necessari provvedimenti disciplinari (il suo trasferimento, ndr)». Il comando provinciale ascrive al maresciallo Mottola la responsabilità diretta di questi «errori». Il comandante, secondo il pm Siravo, fu però informato del provvedimento in arrivo e riuscì a prevenirlo presentando lui in tutta fretta una domanda di trasferimento che fu presto accettata.