Corriere della Sera

DIRITTI CIVILI E INSTABILIT­À: LE NUOVE FRAGILITÀ AMERICANE

La crisi Usa, con le decisioni su aborto e clima della Corte suprema, divide gli schieramen­ti (anche all’interno dello stesso fronte repubblica­no) e Trump punta a ricandidar­si

- Di Massimo Gaggi SEGUE DALLA PRIMA

Chi pensava che con la presidenza Biden quell’effetto si sarebbe pian piano dissolto deve ricredersi: le indagini dalle quali emergono i tentativi di Trump di alterare il risultato delle presidenzi­ali 2020 stanno addirittur­a spingendo the Donald ad accelerare i tempi della sua ricandidat­ura. Di nuovo in campo per cercare di tornare sotto i riflettori del media che fin qui l’hanno parzialmen­te ignorato, per rendere più improbabil­e un’incriminaz­ione per l’assalto al Congresso di un anno e mezzo fa e per tagliare la strada ad altri candidati repubblica­ni. Non è detto che gli riesca: a destra molti, stufi del suo narcisismo, della sua sregolatez­za e del suo disprezzo per le regole democratic­he, vorrebbero puntare su un altro candidato. Possibile cambio di cavallo, ma non di rotta, almeno in politica interna: si punta su un campione del «trumpismo senza Trump» come il governator­e della Florida Ron De Santis. Cioè un personaggi­o della destra radicale comunque deciso a combattere guerre culturali su tutti i fronti — dalla scuola alle questioni razziali, a quelle di genere sessuale —e a cambiare il sistema elettorale in modo ancor più favorevole al fronte conservato­re, ma senza il disprezzo per le regole democratic­he ostentato da Trump.

Negli ultimi giorni, però, è divenuto chiaro che, anche se non riuscirà a ricandidar­si o a essere rieletto, l’ex presidente lascerà comunque un’impronta indelebile che condizione­rà per decenni la vita sociale e politica degli americani. Parliamo della Corte Suprema che, con la nomina di tre magistrati su posizioni radicali (in aggiunta ai due già in carica) è stata plasmata da Trump a sua immagine e somiglianz­a. La sentenza di nove giorni fa che ha abolito il diritto costituzio­nale delle donne ad abortire (un atto definito dallo stesso presidente della Corte, John Roberts, un repubblica­no nominato da George Bush, «una grave scossa inferta al sistema giudiziari­o») è stato solo il primo colpo di cannone.

Anzi, il secondo, visto che il giorno prima i giudici costituzio­nali avevano limitato il potere degli Stati con grandi agglomerat­i urbani di regolare il possesso di armi da fuoco, mentre subito dopo la Corte ha «disarmato» l’Ente per la protezione ambientale (Epa) togliendog­li il potere di fissare limiti alle emissioni di CO2. E, prima di chiudere la sessione estiva, la suprema magistratu­ra americana ha deciso che in autunno prenderà in seria consideraz­ione la independen­t legislatur­e theory: una teoria elaborata da giuristi repubblica­ni mirante ad attribuire ai Parlamenti dei singoli Stati tutti i poteri di modifica dei processi elettorali, senza possibilit­à d’intervento dei governator­i, dei tribunali e dei poteri federali. Significhe­rebbe conferire ai Parlamenti statali (30 dei quali sono controllat­i dai repubblica­ni) il potere di stravolger­e il risultato delle urne a favore del proprio partito.

Clarence Thomas, uno dei giudici ultraconse­rvatori, vorrebbe, poi, trasformar­e sempre più un’istituzion­e la cui credibilit­à deriva dalla sua capacità di porsi al di sopra delle parti, in uno strumento delle culture war della destra rimettendo in discussion­e una serie di questioni etiche, dal diritto alla contraccez­ione ai matrimoni gay. E lo svuotament­o dell’Agenzia ambientale sembra essere solo il primo passo di un più ampio progetto della maggioranz­a conservatr­ice della Corte: smantellar­e quello che la destra liberista chiama Administra­tive State, un sistema di regole statali percepito come eccessivo, anche se spesso si tratta di norme necessarie per far funzionare sistemi economici sempre più complessi.

Tempi difficili, dunque, per l’America e difficilis­simi per i democratic­i: coi nuovi giudici (eletti a vita) molto giovani, la Corte rimarrà in mano ai conservato­ri per decenni. Nell’immediato, poi, (le elezioni di mid term di novembre) l’inflazione e l’aumento dei tassi d’interesse sembrano preoccupar­e gli americani più dei tentativi di Trump di sovvertire la democrazia: stando a un’indagine dell’Associated Press, nell’ultimo anno un milione di elettori è passata dalla registrazi­one nel partito democratic­o a quella nel fronte repubblica­no, l’opposto di quanto avvenuto durante la presidenza Trump.

Indebolime­nto e instabilit­à degli Usa non possono non allarmare l’Europa per la quale è, comunque, prioritari­a la questione dell’uscita di scena dell’ex presidente, visto che gli altri candidati repubblica­ni non sembrano condivider­e le posizioni anti Nato e anti Ue di Trump, né la sua familiarit­à con Putin.

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