DENTRO IL VULCANO
UN NUOVO CALCOLO PER ANTICIPARE LE ERUZIONI
La ricerca Un pool guidato dall’Università Roma Tre ha elaborato un metodo basato sulla deformazione del suolo. Acocella: «Abbiamo studiato le caldere basaltiche. Ora serve una più vasta elaborazione dei dati»
Vulcani e terremoti sono eventi naturali spesso catastrofici e la prima difesa, la prima arma per combatterli è rappresentata dalla possibilità di prevederli. Se per i terremoti la sfida è ancora impossibile, per i vulcani gli scienziati stanno conquistando successi importanti. Un gruppo internazionale di ricercatori guidato da Valerio Acocella del Dipartimento di scienze dell’Università Roma Tre è riuscito ad elaborare un metodo che consente di anticipare di settimane e anche mesi l’eruzione che può avvenire su un tipo particolare di vulcani, le caldere basaltiche come quelle italiane dei Campi Flegrei, di Bolsena e Bracciano.
Le caldere sono degli sprofondamenti circolari della superficie che hanno il difetto di deformarsi di frequente e quindi rappresentano un rischio da valutare rapidamente. Il loro magma è poco viscoso e offre segnali più regolari. Poterli anticipare con tempi lunghi è determinante per consentire alla protezione civile di intervenire con le necessarie evacuazioni salvando vite umane.
«Finora — nota il professor Acocella — non si poteva prevedere l’eruzione delle caldere con grandi margini di tempo; al massimo si arrivava a qualche ora o, nel migliore dei casi, con incertezza a qualche giorno. Il nuovo metodo elaborato, invece, cambia radicalmente in meglio la prospettiva».
Come hanno raccontato sulla rivista «Nature Geoscience», gli scienziati (analizzando i dati delle deformazioni dei suoli misurate con i satelliti radar e facendo ricorso alla tecnica dell’interferometria) riescono a cogliere il «tasso di deformazione», come lo chiamano, cioè l’estensione del movimento dal centimetro al metro nell’unità di tempo. Questo è il frutto della pressione del magma che sale, spingendo verso la superficie.
In tal modo hanno stabilito che se la quantità di magma in salita è pari a 10 milioni di metri cubi non si verificano eruzioni mentre se si arriva a 100 metri cubi si ha la certezza dell’eruzione. C’è una zona intermedia tra i due valori nella quale per il risultato giocano le condizioni diverse dell’ambiente. Ma alla fine, considerando i vari aspetti, sono giunti a stabilire che per le caldere basaltiche è possibile prevedere l’eruzione nell’89 per cento dei casi. Un risultato importante che, raggiunto con anticipo di settimane e mesi, cambia profondamente le cose consentendo interventi prima impensabili.
Il risultato è frutto dei dati raccolti negli ultimi 25 anni con vari tipi di satelliti radar a cominciare dalla costellazione CosmoSkymed dell’Agenzia spaziale italiana Asi, ai quali si sono aggiunti satelliti dell’Esa come Envisat e altri tedeschi e canadesi.
«Se i dati a disposizione sono tanti — aggiunge Acocella che raggiungiamo sull’isola greca di Santorini dove si trova per una campagna di ricerca — purtroppo sono pochi quelli elaborati con dei modelli fisici specifici sul comportamento dei vulcani in modo da essere utilizzati nella previsione. E questo è un lavoro che abbiamo dovuto affrontare».
Alla ricerca ha collaborato Andrew Hooper dell’Università britannica di Leeds, Marco Bignardi al Goddard Space Flight Center della Nasa e Federico Galletto, primo autore dello studio. «Galletto — sottolinea Acocella — è un eccezionale
Il nuovo metodo si potrà esportare anche alla maggior parte degli altri tipi di vulcani esistenti nel mondo
giovane ricercatore che ha appena concluso il dottorato assegnato dalla nostra università».
La conclusione della ricerca è rilevante perché si applica a tutte le caldere del pianeta come è stato verificato su un gruppo di vulcani attivi di questo tipo, come Fernandina e Sierra Negra (Galapagos e Ecuador), Kilauea (HawaiiUsa) e Krafla in Islanda. «Nel giro di qualche anno — precisa lo scienziato — il nuovo metodo si potrà esportare anche alla maggior parte degli altri tipi di vulcani esistenti nel mondo».
Ora, con le conoscenze a disposizione si possono generare allerte solo su singoli vulcani ben conosciuti nella loro storia e ben controllati con adeguate strumentazioni, come ad esempio l’Etna. È un primo passo determinante e concreto nella difesa, dunque, quello raggiunto con le caldere basaltiche grazie alle nuove tecnologie satellitari ma che, per essere esteso al rischio portato dai circa 600 coni eruttivi accesi sulla Terra, richiede una più ampia elaborazione dei dati.
Finora non si poteva prevedere l’eruzione delle caldere con grandi margini di tempo. Adesso invece sì