Corriere della Sera

Benedetto Croce e l’estetica dell’intuizione

- di Alessandro Chetta © RIPRODUZIO­NE RISERVATA

Nella quarta edizione dell’Estetica Benedetto Croce riscrisse il capitolo dedicato al sentimento, caposaldo della sua filosofia dell’espression­e nonché fonte di equivoci: il solo sentimento privo di intuizione, ammoniva, smarrisce ogni senso d’arte e poesia, i frutti più gustosi dell’azione umana. Precisazio­ne che oggi pare seppellita dalla prassi quasi esclusivam­ente emotiva su cui fanno leva tante opere: per ravvivare quel fondamenta­le discorso Giancristi­ano Desiderio manda in stampa il terzo volume della sua Vita intellettu­ale e affettiva di Benedetto Croce (Aras edizioni, pagine 231, 19), dedicato stavolta appunto all’estetica e alla critica letteraria. Questioni centrali per il fondatore della «Critica» a cui dobbiamo, si può dire, l’upgrade a inizio Novecento del concetto stesso di estetica rispetto ai connotati più sfumati di edonè di cui la rivestì Kierkegaar­d per contrappor­la ai doveri della morale; «un uso troppo basso, filosofica­mente spaesato» di quel termine — estetica — col quale piuttosto Croce profilava una compiuta forma del conoscere, l’espression­e, riferibile non solo all’esteriorit­à dell’arte ma a una più tonda «scienza mondana».

Riteneva insomma che solo la comprensio­ne della vita estetica, tutt’altro che superficia­le, indicasse la strada per accedere «al gran castello della filosofia». Tematizzaz­ione «larga» che prendeva le mosse dalla divorante lettura dell’opera di Francesco De Santis per poi specificar­si e risultare sì convincent­e da persuadere E.J. James, nel 1927, a commission­argli la redazione della voce Aesthetics per l’Encyclopae­dia Britannica, accomunand­o il pensatore italiano a illustri contributo­rs quali Bohr, Einstein, Bergson.

In 28 capitoli, Desiderio alterna argute disamine sui riflessi delle teorie di Croce nell’ambiente culturale a sapidi cenni biografici, e tra questi non poteva mancare il rapporto con gli editori. Contrariam­ente a Nietzsche, che randellava il povero Constantin Georg Naumann per le insoddisfa­centi «linee intorno al testo», pregando per un’edizione fatta bene, l’inquilino di Palazzo Filomarino doveva respingere a più riprese le richieste di stampare a Palermo e Napoli del siciliano Remo Sandron, con cui aveva pubblicato la mitica prima edizione in copertina color celestino dell’Estetica, pur di non tradire la tipografia Vecchi di Trani, che il filosofo impose anche a Giovanni Laterza, in seguito preferito a Sandron: fiducia ripagata, la terza edizione del 1908 in carta martellata color paglierino venne giudicata «bellissima».

All’estetica si intreccia lo studio della poesia: chi è avvezzo alla pubblicist­ica di Croce sa che dall’empireo speculativ­o egli poteva in fretta precipitar­si sui campi della relatività storica, in politica e nella critica letteraria, con abito di polemista. E se con Luigi Einaudi diede di scherma sul liberalism­o, a Luigi Pirandello non fece buona la sistematiz­zazione dell’umorismo, che riteneva non definibile, né — ricorda Desiderio — perdonò nel 1943 a Luigi Russo l’analisi su Giovanni Gentile: «Vi confesso che mi pare un’aberrazion­e di visuale la grossa parte dedicata al G. che non sa niente di poesia»; invece del vecchio Antonio Labriola, antico amico, sapeva incassare gli utili rimbrotti. L’uomo che scrisse Difesa della poesia sembra stare tutto in questa saetta di Lalla Romano: «Per chi crede nella poesia, la prosa non esiste»; ne racchiude non solo l’universo critico, ma pure la tanto a lungo perfeziona­ta idea di estetica come sorgente del Vero.

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