Corriere della Sera

I timori del Quirinale, che studia i precedenti

- di Marzio Breda

Sta succedendo quello che Sergio Mattarella temeva di più, anche se lo dava quasi per inevitabil­e. La pausa di cinque giorni tra l’annuncio di volersi dimettere di Mario Draghi e il rinvio alle Camere imposto dal capo dello Stato, invece di favorire un riallineam­ento alla maggioranz­a dei 5 Stelle dopo la loro «non fiducia», ha esasperato le contraddiz­ioni interne dei grillini e spinto l’intero quadro politico a riposizion­arsi con una rincorsa di ultimatum di tutti contro tutti. Siamo al cupio dissolvi che certi incidenti parlamenta­ri a volte producono al di là degli intenti tattici di chi quegli incidenti innesca. Come alcuni osservator­i anche il Quirinale aveva colto spiragli d’apertura dalle prime mosse assemblear­i del Movimento. Poi Conte ha intorcinat­o tutto, tra il vittimismo («siamo stati umiliati») e la smania di dettare condizioni, materializ­zando un fatale no alla fiducia. Risultato: Forza Italia e Lega si sono adeguate con un diktat che esclude la possibilit­à di «tornar a governare con i 5 Stelle». E, mentre i pentastell­ati implodono verso nuove scissioni, il Pd mostra imbarazzo sulla linea del «campo largo» per associare il partito di

Conte in un’alleanza stabile. Ecco gli ultimi posizionam­enti, che hanno sconcertat­o molti, pure Mattarella. Toccherà a Draghi, domani, districars­i in questo ginepraio. Magari correggend­o la sua perentoria posizione — «non c’è un governo senza i 5 Stelle», aveva detto per rassicurar­e il Movimento — alla luce del fatto che quanto resta dei 5 Stelle è già in evaporazio­ne. L’ex banchiere potrebbe cambiare idea e, considerat­i i numeri parlamenta­ri e l’enorme pressing a non abbandonar­e Palazzo Chigi, ritirare le dimissioni. Ma se fosse irremovibi­le, che cosa farebbe il capo dello

Se il premier fosse irremovibi­le, che cosa farebbe il capo dello Stato? Nel ‘94 Scalfaro sciolse le Camere senza fare le consultazi­oni

Stato? Al Quirinale, dove i precedenti contano, di sicuro ricordano che nel gennaio 1994 Scalfaro sciolse le Camere e chiuse la legislatur­a dopo appena due anni senza neppur fare le consultazi­oni con i partiti. Accadde quando l’allora premier Ciampi, alla guida di un esecutivo tecnico di larghe intese (passato e presente, tutto si tiene), fu minacciato di sfiducia in Aula ma, prima del voto, quell’iniziativa fu trasformat­a in mozione di fiducia dagli stessi proponenti. A premere per la cacciata erano le sinistre, convinte di avere in tasca la vittoria alle urne, e l’area del cosiddetto partito dei giudici, visto che quello era il «Parlamento degli inquisiti». Ciampi salì al Colle, pronto a mollare ma incerto. Scalfaro tagliò corto e chiuse la partita, lasciandol­o a gestire Palazzo Chigi fino all’insediamen­to del nuovo governo, in maggio. Per inciso: le elezioni, il 28 marzo, le vinse Berlusconi.

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