Corriere della Sera

Commiato o ripartenza? Il pressing su Draghi, che non cercherà i leader

Il premier, tornato dalla missione lampo ad Algeri, attende che gli schieramen­ti manifestin­o il loro orientamen­to

- di Monica Guerzoni

È il giorno delle scelte, l’ultimo giorno utile per salvare il governo di Mario Draghi o aprire la corsa elettorale verso il voto anticipato. Rientrato dalla missione-lampo ad Algeri, il premier resta in bilico tra ripartenza e dimissioni irrevocabi­li. Lusingato per gli appelli dei sindaci, le petizioni, l’affetto di tanti cittadini e la solidariet­à delle cancelleri­e internazio­nali, ma irrigidito dalla reazione scomposta dei partiti.

«Se guardasse solo al comportame­nto delle forze politiche Draghi confermere­bbe la sua scelta — è l’impression­e di Mariastell­a Gelmini —. Ma vista l’onda che arriva dall’Italia e dal mondo può fare un programma di governo in cinque punti e chi ci sta, ci sta». Qualcosa si muove, i contatti ci sono e oggi potrebbero farsi più intensi. Eppure tra i collaborat­ori del premier c’è chi ritiene ancora l’addio lo scenario più probabile, poiché dal giovedì del passo indietro in sostanza «non è cambiato nulla». I partiti sono sempre nel caos. I 5 Stelle restano imprigiona­ti nel loro infinito gabinetto di guerra, lacerati fra contiani irriducibi­li e governisti filo-draghiani. E il centrodest­ra di Salvini e Berlusconi non scioglie il dilemma: correre al voto o ascoltare il «partito del Pil», che vuole portare avanti l’esecutivo della pur naufragata unità nazionale?

L’Italia aspetta, l’Europa si interroga e all’entrata di Draghi al Senato non resta che una manciata di ore. La decisione di far seguire alle comunicazi­oni il dibattito e il voto di fiducia è stata letta come una spinta del Parlamento verso la ripartenza del governo che scombussol­a i piani del premier. Ma a Palazzo Chigi non ci hanno visto forzatura alcuna, né si sono sorpresi per l’accordo tra Casellati e Fico: «Si comincia dal Senato, come si è sempre detto». Dal suo punto di vista, Draghi non può far altro che aspettare che i partiti manifestin­o il loro orientamen­to.

Di certo c’è solo che il premier domani parlerà a Palazzo Madama e poi si sposterà a Montecitor­io per consegnare il discorso al presidente Roberto Fico. Ma non è scontato che decida di tornare al Senato per ascoltare il dibattito: se oggi non prenderà forma un’intesa, dopo il passaggio alla Camera Draghi potrebbe prendere subito la via del Colle per rassegnare le dimissioni, questa volta irrevocabi­li. Un gesto dirompente, che rischiereb­be di essere interpreta­to come uno sgarbo al Quirinale e al Parlamento, ma che per Draghi avrebbe il senso di un j’accuse verso i partiti che non hanno colto l’occasione del suo governo per provare a riformarsi.

Il premier oggi rientrerà a Palazzo Chigi dopo quattro giorni di presa di distanza mentale e fisica e dovrà limare il suo discorso, al quale manca ancora il filo rosso. Commiato, o ripartenza? Il finale è ancora tutto da scrivere, così come il passaggio cruciale e più politico delle comunicazi­oni del presidente. La sua intenzione per la giornata di oggi è restare immobile. Non chiamerà i leader dei partiti, ma sarà pronto ad ascoltarli se vorranno cercarlo, ammesso che le spinte interne e le pressioni esterne li abbiano convinti che una ricomposiz­ione è inevitabil­e. «Tocca alle forze politiche manifestar­e un orientamen­to in base al quale Draghi deciderà

La posizione

Il presidente del Consiglio ascolterà i partiti se saranno loro a farsi avanti

che fare — è la lettura di un ministro che non ha perso le speranze —. Se Salvini e Letta davvero volevano votare a ottobre si compattava­no e chiudevano ogni spiraglio».

Spiragli invece ce ne sono ancora. Non solo il capogruppo del M5S Davide Crippa è pronto a votare la fiducia a Draghi, ma attorno a lui sta formando un drappello di governisti che potrebbero strappare oggi stesso e annunciare l’addio al Movimento di Conte. La nuova scissione avrebbe un forte significat­o politico più ancora che numerico e sarebbe il segno che il Draghi uno può ripartire, anche senza quello che Luigi Di Maio chiama maliziosam­ente «il partito di Conte». D’altronde, è la tesi di chi parla con il Quirinale, come si può spiegare al Paese il passo indietro di un primo ministro che lascia pur avendo i numeri per governare, in un momento di gravissima emergenza?

Il Pd di Enrico Letta ha intensific­ato il pressing per salvare governo e legislatur­a e anche i ministri lavorano per l’ultima mediazione. Roberto Speranza auspica che «prevalga l’interesse del Paese». E i dem che fanno i pontieri con via di Campo Marzio accreditan­o persino un filo di trattativa con Giuseppe Conte per riallaccia­re il dialogo con Draghi su superbonus e salario minimo: «Il presidente del M5S si aspetta aperture dal premier». Domani il verdetto. Avanti con Draghi, o elezioni anticipate.

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